La Chiesa della Buda
L'edificazione della Chiesa della Buda, è
legata ad un particolare periodo di rinascita religiosa del paese, allora in pieno
sviluppo. Di essa troviamo menzione non solo in fonti locali, ma anche altrove
(Mons. Taccone-Gallucci, Monografia della Diocesi di Nicotera e Tropea).
Gli studiosi non fanno cenno alla leggenda dell’apparizione della Madonna, ma
pongono il sorgere del tempio in relazione con l’esigenza di mantenere il culto
delle Messe domenicali e festive tra i primi abitanti di San Mango; i quali,
dediti in prevalenza all’agricoltura, avevano preso l’abitudine di fare continue
e spesso prolungate dimore in campagna, alloggiando in case coloniche, tuttora
dette "turre".
Il luogo su cui sorgeva la Chiesa – demolita durante la costruzione dell'autostrada A3 Sa-RC e ricostruita, in
più modeste dimensioni, nei pressi – è tuttora di proprietà della parrocchia,
unitamente ad un discreto appezzamento di terreno circostante.
La provenienza della donazione non è nota, e non si ritiene infondata l’ipotesi
d’identificare proprio in essa il "corpo feudale" di cui il principe Luigi
d’Aquino dotò la parrocchia all’atto della costituzione. Avvalorano l’ipotesi le
citazioni dei registri parrocchiali (Liber Defunctorum 1747-1761, pp.31), in cui
sono annotate le riscossioni, effettuate dal Vicario Foraneo di Nocera per conto
del vescovo di Tropea: da tali ricevute, a decorrere dall’anno 1747, rileviamo
che il parroco di San Mango pagava alla Curia anche "Carlini uno per la
terra della Buda". La mancanza di notizie per il periodo anteriore al 1747
non s’oppone a tale ipotesi: nei registri non v’è traccia di riferimenti neppure
alle altre aliquote versate dalla parrocchia, in quanto solo con l’avvento del
colto don Antonio Gimigliano ogni cosa è annotata per la prima volta, con cura
minuziosa.
La meticolosità di questo sacerdote ci fornisce, sia pure indirettamente,
l’unica notizia di rilievo esistente nell’archivio parrocchiale, circa la data di
costruzione della chiesa. Nel registro sopra citato, troviamo la seguente
annotazione, vergata dalla mano del Vicario Foraneo di Nocera:
"Addì 3 nov. 1751. Io sottoscritto con la presente dichiaro aver ricevuto dal
sig. Parroco don Antonio Gimigliano di Santo Mango carlini 20 per 10 croci di
morti e carlini 8 per 'ius seminarii' della sua parrocchia, e Carlino uno per
la Cappella di Santa Maria della Buda; e prometto non molestarlo né
farlo molestare da altri. In fede Giorno ed anno di che sopra
Parr. Giovanni T.so Belsito
Vicario foraneo"
Per la prima volta si parla di "Cappella di S.Maria della Buda" e non
di "terra della Buda"; nelle ricevute degli anni successivi troviamo anche
"Cappella della Buda" oppure l’indicazione generica "per la Buda", ma
non riscontriamo più la dizione "terra della Buda".
Sulla scorta di tali documenti, con i quali concorda anche lo scritto
appena leggibile sulla tela dell’altare maggiore della Chiesa, sembra attendibile
fissare la data di costruzione del tempio intorno al 1750, nella fervida temperie
di rinascita spirituale determinata dall’opera di don Gimigliano. A sostegno
dell’ipotesi, citiamo i seguenti dati, forniti dagli stessi registri parrocchiali:
- la menzione, per la prima volta nel 1753, anche di una "cappella di San
Tommaso", che è conferma del grande fervore religioso del tempo, con
il conseguente sviluppo dell’edilizia sacra, peraltro incrementato dei
contemporanei eventi storici;
- la nomina ad arciprete di San Mango conferita a don Gimigliano
(parroco 1747-1767) nel corso della visita pastorale di mons. Felice De
Paula in data 26.4.1761; indice della presenza nel paese di più sacerdoti,
ed ambìto riconoscimento per la sua instancabile e feconda attività.
L’importanza della chiesa rurale dovette crescere rapidamente: nel 1761
la tassa pagata per la Buda ammontava a 10 carlini, nel 1767 venivano versati
20 carlini. L’incremento è notevole, e non può essere posto in relazione con un
aumento delle aliquote, né con una svalutazione monetaria, dal momento che
tale ipotesi non trova alcun riscontro, per ciò che concerne la riscossione degli
altri diritti curiali.
Sorge spontanea una domanda: il fenomeno non potrebbe essere
determinato dalla notevole importanza assunta dal culto della Madonna, in
seguito alla leggenda dell’apparizione, tradizione gelosamente custodita dal
popolo sammanghese?
Lasciamo i complessi problemi storici – le fonti a questo punto non ci
danno altre notizie di rilievo – e torniamo alla semplice realtà di un popolo, che
non si pone tanti problemi, e crede con genuina spontaneità all’apparizione
della Vergine, che venera con fede umile e viva, immutata nel tempo.
Un giorno una vecchietta – se ne tramanda solo il soprannome "‘a
Scamardedda" - mentre si trovava alla Buda, vide una bella signora, che le
chiese d’andare in paese, per dire al parroco ed alle autorità che in quel luogo
doveva sorgere una chiesa. Non fu creduta, e ritornò in campagna, dove, nello
stesso luogo, trovò ancora quella bella signora, che la rimandò in paese a
ripetere la richiesta, dicendo che avrebbe dato un segno agli increduli. A
malincuore la vecchietta ritornò dal parroco, e neppure stavolta fu creduta;
quando improvvisamente, il sacerdote s’accorse che il pane indurito,
conservato secondo l’uso di quel tempo, era tornato caldo e fumante, come
appena sfornato.
Allora molti occorsero alla Buda dove – ma a questo punto la tradizione
non è concorde – tutti poterono vedere la Vergine, apparsa ancora su una
pianta di fico.
Così venne edificata la Chiesa, nel cui soffitto un bel dipinto ricordava
l’episodio dell’apparizione.
Il tempio, a pianta rettangolare, dallo stile semplice e senza decorazioni
di grande rilievo, fino a qualche decennio fa era affidato alle cure d’un eremita,
che viveva in quel luogo; un abitacolo in muratura, addossato all’abside,
racchiudeva i resti della pianta sulla quale, secondo la tradizione, era apparsa
la Madonna.
Nei pressi della Chiesa, una fontanella da cui sgorgava un’acqua limpida
e fresca.
La leggenda dice che, nella notte dell’Epifania, essa in luogo dell’acqua versava
olio, quel tanto necessario ad alimentare la lampada della Vergine per un anno;
ma il miracolo non si verificò più da quando l’eremita prese di quell’olio per
altri usi.
Sull’altare maggiore, è rimasta per due secoli una preziosa tela (rubata
da ignoti ladri) dalla complessa iconografia, ove era effigiata la Sacra Famiglia
ed accanto San Rocco, seguito dal cane e con una vistosa piaga sulla gamba
sinistra, evidente allusione alla terribile peste del 1783. Alla base del dipinto, si
legge appena uno scritto, in sbiadite lettere capitali:
"A.us Gimigliano parochus re….(cepit)
Sac.os Thoma Berardelli confici curavit – A.1788".
Integrando il re… in "recepit" - l’uso del verbo è frequente in latino,
specie nelle iscrizioni, col significato di "intraprendere, assumere impegno" -
si ha la traduzione:
"Antonio Gimigliano parroco intraprese (l’opera)
Il sacerdote Tommaso Berardelli curò che fosse portata a termine. – Anno 1788."
Questa iscrizione non fa che confermare le supposizioni circa la
probabile data di costruzione della chiesa, di cui s’è trattato in precedenza.
Anche intorno al dipinto, una bella leggenda:
Si racconta che quando l’artista era impegnato nella realizzazione
dell’opera, non riusciva mai a completare la corona sul capo della Madonna.
Era ormai sfiduciato, quando gli venne l’idea di rinunciare a porre sulla testa
della Vergine il segno regale, per dipingervi un semplice fazzoletto, come
usano, specie in campagna, le nostre donne. Soltanto allora l’opera fu
completata.
Attualmente la vecchia chiesa non esiste più: è stata sacrificata al
progresso della civiltà moderna ed abbattuta – poco distante sorge una
chiesetta di minori dimensioni, subito riedificata da sammanghesi - per
consentire il passaggio dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, in data 9
settembre 1965.
Anche in tale circostanza un fenomeno che sembrerebbe da leggenda, ma
che è realtà, perché vi abbiamo assistito con i numerosissimi sammanghesi
accorsi dalle campagne vicine, per essere presenti al momento della
demolizione del tempio; lo riportiamo non per alimentare fantastiche
congetture, ma solo per amore di verità e perché ne rimanga il ricordo.
Nonostante ogni sforzo, non è stato possibile recuperare la croce, posta sulla
sommità della facciata: essa è improvvisamente scomparsa per sempre tra le
macerie, edificate con tanta fede e tanto amore, distrutte in un attimo da pochi
colpi di ruspa.
San Mango d’Aquino-storia folklore tradizioni poesia
A.Orlando – A.Sposato - Rubbettino Editore 1977
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