La Madonna di Luglio


Non si riscontra l'usanza delle "verginedde" in occasione della festa patronale, nota come festa della "Madonna di Luglio", così detta per distinguerla dalla festa "della Buda" o della "Madonna di Giugno", anch’essa legata al culto della Vergine delle Grazie.
I festeggiamenti si svolgono la 3^ Domenica di Luglio, con ritardo rispetto alla festività liturgica, fissata per il giorno 2 dello stesso mese; e questo perché nei primi giorni di luglio si è nel pieno della mietitura del grano e ciò non consentirebbe ai numerosi lavoratori dei campi di prender parte alla festa, della durata di tre giorni.
Venerdì si tiene una grande fiera-mercato all’ingresso del paese, la "Croce del mulino", con notevole affluenza di gente da tutto il circondario.
Sabato, la vigilia, non vi sono manifestazioni particolari: dappertutto una viva atmosfera d’attesa, mentre fervono gli ultimi preparativi d’allestimento delle luminarie per l’indomani e per la serata stessa, allietata dall’esibizione di complessi di musica leggera.
Domenica mattina, una significativa cerimonia: l’Amministrazione Comunale si reca in chiesa, accompagnata da numerosi cittadini, per offrire alla Vergine un cero votivo, con semplice cerimonia, durante la quale il Sindaco legge una toccante preghiera, invocando il patrocinio della Madonna sul paese.
Segue la celebrazione della Messa solenne, dopo la quale ha luogo la processione per tutte le strade del centro.
La festa si conclude nella tarda serata, con l’esibizione di complessi bandistici ed orchestre di musica leggera con cantanti; dopo di che ha inizio un magnifico spettacolo di fuochi pirotecnici.
Fino a qualche anno fa, esisteva la simpatica tradizione dei "pescari", comune a molti paesi della Calabria, in occasione della festa patronale. Due Fantocci, dallo scheletro in canna rivestito di carta colorata, facevano il loro ingresso sul piazzale antistante la chiesa, luogo in cui si svolgeva la festa, mentre la folla si disponeva a cerchio tutt’intorno.
Iniziava così, al suono di allegri motivi intonati dalla banda, la danza del "ciuccio e della signorina"> - erano queste le forme dei fantocci – mentre venivano accesi i numerosi bengali, sistemati un po’ dappertutto sui "pescari", che illuminavano di mille colori tutta la piazza, vincendo anche la luce delle luminarie. E quando l’ultimo bengala si spegneva, le teste dei pupazzi saltavano in aria con un piccolo botto, all’improvviso, interrompendo l’allegro divertimento: brusco richiamo alla realtà, malinconico segno della fine della festa, forse passata troppo in fretta.
In occasione di queste ricorrenze si conservano tuttora due tradizioni, espressioni dell’esigenza, già evidenziata come motivo fondamentale delle "veginedde", di manifestare la propria fede e di rendere pubblico ringraziamento per una grazia ricevuta:
a queste origini risale l’antico uso di far sostare la processione dinnanzi all’ingresso principale delle abitazioni, presso cui viene preparato un tavolo ricoperto da un damasco, mentre le finestre ed i balconi della casa sono pavesati a festa;
lo stesso spirito si riscontra nell’altra usanza di deporre l’offerta votiva, "’u vutu", sul braccio della Statua per mezzo di nastri, che nei tempi passati venivano ritirati con cura da parte dell’offerente perché servissero per lo stesso fine negli anni successivi.
Manifestazioni queste d’una fede semplice e schietta, di una religiosa devozione conservata anche dagli emigranti, che ogni anno si ricordano d’inviare il loro "vutu", sognando ardentemente il giorno in cui potranno compiere personalmente quel gesto, tornando al paese natio.
E mette profonda tristezza dover constatare come questi sentimenti vengono ignorati, come si comprenda sempre meno il valore di gesti che, nella loro umile semplicità, racchiudono significati profondi. °°°°°

 

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