I riti del Giovedì
In passato, l’atmosfera pasquale cominciava ad avvertirsi sin dalla
domenica di Passione, in occasione del triduo delle SS.Quarantore, e, in modo
più marcato, dalla domenica delle Palme, che vedeva la chiesa ammantarsi del
verde dei rami d’ulivo, usati per ornare l’altare maggiore e portati anche,
unitamente a ramoscelli d’alloro, dalla folla dei fedeli, a ricordo dell’entrata di
Cristo in Gerusalemme.
Alla benedizione delle Palme erano presenti
numerosissimi lavoratori dei campi, che affluivano anche dalle contrade
montane: ancor oggi, infatti, è d’uso porre nelle messi, oltre che nelle case, i
rami benedetti, pegno di protezione divina e simbolo di pace.
Un’ombra di tristezza offuscava anche queste ricorrenze, manifestazioni
di giubilo nella loro essenza liturgica; essa si diffondeva sempre più fino a
trasformarsi, nella giornata del giovedì santo, sacra alla celebrazione
dell’Eucarestia e della Passione, in un senso di trepidazione malinconica, che
prevadeva gli animi umili e sensibili del popolo, capace di commuoversi, nella
sua semplicità, dinnanzi alla rievocazione d’eventi, forse non compresi nella
loro dimensione teologica, ma certamente avvertiti nella loro misteriosa
grandezza.
La Messa "in Coena Domini" veniva celebrata al mattino, nella
chiesta completamente trasformata da grandiosi addobbi, allestiti nel
presbiterio da artigiani locali e costituenti nel loro insieme "’u summurcu,
il Sepolcro, o altare della Riposizione, secondo la definizione della liturgia. Al
centro di esso era posta, per custodire l’Eucarestia, l’urna in legno
miracolosamente rimasta integra dopo l’incendio che distrusse i drappi
ornamentali alcuni decenni fa, nella notte tra giovedì e venerdì.
Completavano l’addobbo i "vurvini", vassoi con sottili germogli di
grano, preparati e portati dai fedeli; simbolo del pane, essi venivano disposti in
modo da creare intorno all’urna una messe biondeggiante.
Solenne la celebrazione del rito, rievocante l’Ultima Cena: dopo il canto
del "Gloria" tacevano i sacri bronzi e l’organo, mentre l’Eucarestia veniva
riposta nel Sepolcro al termine d’una processione all’interno della chiesa.
Dal profondo significato anche la cerimonia della lavanda dei piedi, a ricordo di
quanto Gesù aveva fatto nella fatidica sera del Getsemani: i dodici anziani che
sedevano intorno all’altare avvertivano il senso di quella rievocazione e,
ricevuto "’u mucceddatu", il pane benedetto del sacerdote, lo distribuivano
a tutti i fedeli con gesti lenti e misurati, portando a casa soltanto il loro
pezzetto.
Con la denudazione degli altari, cominciava la liturgia della passione,
mentre un sipario copriva interamente gli ornamenti dell’altare della
Riposizione.
Pesanti panni violacei chiudevano i finestroni della navata centrale,
creando la triste atmosfera del lutto: anche nelle famiglie era d’uso tenere le
imposte socchiuse, quando la morte strappava all’affetto dei propri cari una
persona amata.
Alla sera si teneva la predica di passione, seguita dal popolo in modo del
tutto particolare. Durante gli intervalli della commemorazione degli episodi
principali della Via Crucis, le meste note delle marce funebri, eseguite
all’interno della chiesa dalla banda musicale, accrescevano l’atmosfera di
dolore creata dalla rievocazione, che culminava nelle due "chiamate"" della
Croce e dell’Addolorata.
Nel momento in cui il predicatore annunciava il compiersi del sacrificio
di Cristo, una Croce scendeva dall’alto degli addobbi del "summurcu" al
centro del presbiterio, dinnanzi al sipario che copriva l’urna mentre un coro di
uomini intonava un motivo lento e solenne, esaltante il valore di quel Legno,
che il sangue del Redentore trasformò da odioso strumento di morte in
simbolo d’amore e di salvezza.
Successivamente il discorso s’incentrava sull’altra protagonista delle ore
dolorose del monte Calvario. Le luci si spegnevano di colpo e dalla porta
principale avanzava lentamente la statua dell’Addolorata, mentre al centro
dell’abside, sotto la Croce, appariva il simulacro di Gesù Morto, che le bianche
mani tese della Madre, che s’avvicinava, sembravano voler stringere in un
ultimo, tenero abbraccio.
Momenti d’intensa commozione suscita tuttora – la predica è stata
trasferita, dopo la riforma liturgica, a sera di venerdì – questa toccante
rievocazione dell’epilogo del dramma del Golgota, che non è assolutamente una
vuota manifestazione esteriore, priva di contenuti. L’ora del dolore è quella in
cui, anche secondo il Vangelo, traspare maggiormente la più autentica umanità
di Cristo e della Vergine, con le debolezze, le angosce o lo sconforto propri
dell’uomo: e questi sentimenti, non estranei alla propria realtà di vita, la nostra
gente riesce a comprendere bene, a percepire nella loro pienezza, a far propri
in una profonda catarsi spirituale, fine precipuo per il quale il Figlio di Dio
accettò il martirio della Croce.
Il nodo di pianto che serra silenziosamente
molte gole, nasce non soltanto da pietà o da compassione dinnanzi a tanto
soffrire, ma anche da un senso di colpevolezza, d’indegnità, di pentimento, che
avvince i cuori; e le lacrime, che inumidiscono le guance delle donne e rigano il
volto rude di non pochi uomini, sono il segno evidente di tali sentimenti e
conferiscono a questo rito un profondo valore.
Dopo l’incontro, la statua del Cristo Morto veniva posta nella "Vara",
a forma d’urna coperta di veli e sormontata da un ornamento realizzato con
frondi verdi, "u curiniaddu", che s’innestava sulla sommità di quest’ultima,
conferendo ad essa un aspetto più imponente.
Indi si snodava la processione notturna al lume delle fiaccole portate dai
ragazzi, mentre ad ogni casa una luce era posta alle finestre od ai balconi, non
solo per illuminare la strada, ma quale testimonianza di fede e d’amore.
Raggiunto il Calvario, all’entrata del paese, dopo aver percorso la strada
principale, la processione aveva termine nella chiesa di San Giuseppe, dove
venivano lasciate le due Statue.
San Mango d’Aquino-storia folklore tradizioni poesia
A.Orlando – A.Sposato - Rubbettino Editore 1977
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