IL BRIGANTAGGIO (DAL 1870)

        La miseria tra la popolazione sia quella che dimorava in aperta campagna sia quella che abitava nel paese era spaventosa. Una vita fatta di violenza e di meschinità era quella che quotidianamente si viveva in ogni paese della Calabria e tale stato di indigenza era ulteriormente aggravato nei paesi  privi di appropriate vie di comunicazioni e tagliati fuori da ogni contatto umano.

        Lo stato di estrema, miserevole e secolare indigenza, faceva svanire ogni pur minima remora etica ed il soddisfacimento dei bisogni primari ed essenziali per l’esistenza non conobbe mai ostacoli di sorta.

        Nel paese erano del tutto assenti le strutture civili di difesa delle pubbliche istituzioni e dove la violenza, l’arbitrio, il disordine e l’odio di classe imperversavano da sempre, il fenomeno del banditismo trovò il terreno fertile.  Si trattava come è facile capire di banditismo comune e non di un fenomeno organizzato. Erano schiere di ladri ed a volte anche di assassini.

        La paura, le pressioni psicologiche, le minacce , le ritorsioni e le vendette presero il sopravvento sul coraggio di andare fino in fondo per vedersi difesi i propri diritti violati. La mancanza di un posto fisso di carabinieri reali faceva si che la vita cittadina spesso era oggetto di disordini che venivano causati da una classe di deperditi che sovente si lasciavano andare a regolamento di conti per via diretta, da continui furti campestri, da ferimenti e spari notturni  lungo le vie del paese e  nelle campagne.

        Nel periodo intorno a 1870 era presente la banda del famigerato Gesualdo Donato che incuteva terrore in tutta la popolazione.

        La popolazione viveva in uno stato di comprensibile inquietudine stante la vicinanza del paese, al bosco del Mancuso nel quale si annidavano delle comitive brigantesche, ed al fiume Savuto ove di tanto in tanto scorazzavano delle orde di facinorosi che si corrispondevano con i loro simili dell’una e dell’altra provincia, nonché per la vicinanza ai passi del “vitriolo” e della cona di “S.Mazzeo” che costituivano posti di congiungimento e di regolamento di conti.

        Tutto ciò rendeva la vita dei cittadini insicura e piena di preoccupazioni e di paura anche per la presenza nelle campagne di due latitanti di non lieve peso, uno di  S.Mango e l’altro di “cannavali” che si erano ricongiunti e si erano dati alla latitanza nascondendosi di volta in volta nei tuguri campestri e percorrendo in lungo ed in largo, indisturbati, il territorio comunale. Numerosi erano anche i cittadini che dovevano espiare delle pene e che si erano dati alla latitanza.

        La presenza dei carabinieri reali sul territorio comunale era molto saltuaria  stante  la mancanza di una idonea viabilità  con la caserma di Nocera  Terinese   a cui era stato assegnato anche S.Mango per il controllo dell’ordine pubblico.

        I disagi della popolazione vennero fatti propri dagli organi comunali che  avanzarono varie istanze alle superiori autorità  per una più assidua e costante presenza sul territorio comunale di forze dell’ordine, arrivando a farsi propri gli oneri per il fitto dei locali necessari ad ospitarli.

        La presenza  incontrollata  di comitive brigantesche nella montagna del pruno e nella zona “tribito” indusse il comandante la stazione di Nocera  a costituire una postazione di distaccamento. Il posto base  era di estrema utilità quandanche si consideri che il bosco mancuso era facilmente raggiungibile da S. Mango più che da Nocera  ed in coordinamento con i militi di Martirano  l’azione di prevenzione contro i malviventi  si sarebbero potuti assicurare alla giustizia più facilmente di quanto era avvenuto sino ad allora.

        Il comune   mise a disposizione i locali di proprietà di Tomaino Giovanni oltre al casermaggio per garantire una sufficiente dimora al distaccamento è dotò il distaccamento di 102 fucili. Su superiori disposizioni da parte del Ministero della Guerra dei predetti fucili ne vennero riconsegnati solo 77 in quanto i possessori,  quali li avevano ceduti, quali erano stati venduti ed il comune dovette accollarsi l’onere finanziario di £. 25 onde saldare il debito.

        Per la cattura  di alcuni componenti della banda del Donato vennero formate delle squadre di volontari coadiuvate dai carabinieri reali di questo Comune e di quello di Martirano ed in breve tempo i latitanti vennero assicurati alla giustizia. Il Donato dopo un conflinto a fuoco con le forze dell’ordine venne arrestato nei pressi di Zangarona in quel di Nicastro.

        La presenza sul territorio delle forze dell’ordine servì a far cessare ogni tipo di abuso e di sopruso e la popolazione  godeva quella pace che l’onesto cittadino desiderava e che gli era di diritto. Scomparve per parecchio tempo l’abuso del porto d’armi che si praticava da parte dei nemici dell’ordine pubblico. Furono messi in regola l’andamento dei pubblici esercenti che provocavano non poche lamentele per il mancato rispetto dei prezzi di vendita ed arbitrarie preferenze nella vendita dei beni di prima necessità.

        La cattura del latitante Domenico Bonacci avvenne nel 1886. I comandanti Cansano Giacinto, Angelo Federici ed Angelo Lusardi venuti a conoscenza che il latitante si trovava in una casetta dell’abitato in rione carpanzano  accompagnati da Sposato Aiuto si presentarono per eseguire la cattura del malvivente. Il Bonacci però non era solo ma altri malviventi erano in suo aiuto: Mendicino Luigi, Fiorillo Vincenzo e Bagarino  Giuseppe.

        All’aprirsi dell’uscio il Bonacci  insieme ai complici esplose diversi colpi di pistola all’indirizzo dei militi, uno dei quali  ferì il Cansano alla clavicola. I militi furono costretti ad usare le armi ed il Bonacci  fu ferito e cadde disteso davanti alla porta della casa divenendo prigioniero, mentre gli altri malviventi si diedero alla fuga.

        Nella stessa notte, il comandante la stazione di Nocera informato dell’accaduto si recò immediatamente in  S.Mango per dirigere le operazioni contro i malviventi che erano corsi in aiuto del Bonacci e la cui cattura avvenne alle prime luci dell’alba nella zona passo di Angelo Renzo.

        Molto impegnativa per i carabinieri divenne la cattura del latitante Angelo Puteri nel 1895. Il Puteri dopo pochi mesi di matrimonio con Elena Trunzo venne a discussione con  suo cugino Giacinto Sacco per motivi di gelosia. La discussione fu molto accesa tanto che il Sacco vi lasciò la vita infilzato dalle coltellate tirate dal Puteri. 

        L’omicida si diede alla latitanza scorazzando per le campagne del Comune ed anche per quelle di Martirano e la sua cattura non era di facile esecuzione in quanto il malvivente godeva di consistenti amicizie specialmente nella zona di S.Mazzeo.

        Dopo accurate indagini il Comandante la stazione dei carabinieri di Nocera, Giuseppe SIMONINI con i militi La TORRE e Celani vennero a conoscenza che il Puteri transitava giornalmente lungo la mulattiera che da S.Mango portava a Nicastro facendosi spesso vedere ora nel punto di Campo Di Maggio ora in S.Mazzeo.

        Per la  cattura del malvivente si adoperò incessantemente  forrnendo tutte le notizie in suo possesso Vincenzo Puteri, cugino del malvivente, proprietario  terriero e padre di numerosa prole.

        La sera del 10 giugno i carabinieri reali perlustrando la strada e dando degli inutili assalti in tutte le case rurali ove il Puteri si era visto girovagare erano giunti nella determinazione di abbandonare le ricerche, stante anche il sopraggiungere di un temporale di enorme violenza e la fatica che aveva preso i ricercatori ai quali verso le ore pomeridiane si erano aggiunti: Felice Mastroianni, Manfredi Nicola, Trunzo Moisè, Sposato Aiuto, decisero  di portarsi presso la casa di tale Marasco Francesco in S.Mazzeo, molto noto per i suoi precedenti alla forze dell’ordine, onde rifocillarsi ed attendere  colà il sorgere del sole.

        Il latrare dei cani insospettì il Puteri che  era nascosto proprio all’interno del fabbricato   del MARASCO e si diede ad una disperata fuga nei campi. Dato il vasto spiegamento delle forze dell’ordine il Puteri in breve tempo venne catturato e venne assicurato alla giustizia per favoreggiamento anche il Marasco.

        Il Puteri venne condannato alla pena dell’ergastolo e dopo 46anni di carcere nel 1942 ottenne la grazia del Re.

 

 

 

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