I Martiti del '23
Ricerca testo originale: Francesco Torchia
elaborazione: Pasquale Vaccaro
In quegli anni, che precedettero la Rivoluzione francese, anche i piccoli centri "pullulavano di Massoni", come aveva constatato De Medici, inviato in Calabria nel 1790 dal Governo di Napoli.
Si diffuse una forte delusione che fece nascere, anche negli ambienti più ossequienti, un atteggiamento ostile verso la monarchia, e fece colorare di democrazia le idee riformatrici fino ad allora vissute all’ombra della corona. Si cominciò ad avvertire il peso delle grettezze della religione, si discussero i principi politici della Francia rivoluzionaria, si aspirò all’uguaglianza e alla libertà, e naturalmente si affrontarono problemi economici e sociali. Le vicende della Rivoluzione francese determinarono, anche in Calabria, la sospensione delle logge, con il conseguente inasprimento del clima nei confronti dei Massoni e dei componenti dei club giacobini, fino ad arrivare alla feroce reazione del 1799. Nelle emanazioni amministrative e militari sottoprodotto di queste vittorie, si veicolarono allo stesso tempo sia le tesi favorevoli a Bonaparte, sia quelle della sua opposizione repubblicana e liberale.
La diffusione del progetto carbonaro si farà tanto nel seno dei reggimenti d'occupazione che nel seno della pletora di funzionari civili, e si svilupperà in maniera fulminea in tutti gli ambienti nazionalisti italiani, per i quali l'opzione repubblicana forniva l'alternativa politica ideale. Si può dire perciò che, al di fuori degli aspetti massonici del movimento, la sua diffusione sarà ampiamente facilitata dall'espansionismo militare francese, così come da quello della sua potente logistica e amministrazione. La Massoneria, a questo punto, diveniva la mente di una Carboneria che agiva come braccio operativo e riusciva ad entusiasmare i giovani calabresi con le sue idee di patriottismo.
La Carboneria venne introdotta nel Reame di Napoli da Pierre-Joseph Briot(1771-1827). Questo avvocato della Franca-Contea, nato nel 1771, fu un personaggio politico importante. Fu Massone nelle Logge di Bésançon, ma anche Buon Cugino Carbonaro. Impregnato dei valori della Rivoluzione Francese, cominciò la sua carriera da volontario del 1792. La coincidenza fra i movimenti di Briot e la nascita di focolai Carbonari nell'Italia del Sud sembra poter dimostrare la sua incondizionata partecipazione alla diffusione internazionale di un Carbonarismo repubblicano . Un Carbonarismo rivoluzionario ed a priori repubblicano si sviluppò in una maniera a tal punto fulminea che Briot ne perse il controllo, malgrado la simpatia che la sua persona suscitava fra le popolazioni rurali, delle quali si occupava con bontà e competenza. Nel 1807 è destinato a Cosenza, in Calabria, ed immediatamente un nuovo focolaio Carbonaro si forma. Si costituirono così le prime Vendite carbonare, a partire da Altilia, fra le montagne della presila cosentina, e poi a Cosenza, Tessano, Rogliano, Aprigliano, San Fili, San Pietro Guarano, Paola, San Benedetto Ullano, Pedace, Zumpano, Castelfranco, Celico, Catanzaro, Squillace, Crotone, Monteleone, Mesoraca, Nicastro, Maida, Reggio, Palmi, e Gerace, mentre a Napoli si insediava il governo murattiano, che, con animo protettivo verso la Massoneria, quale rappresentante del ceto elevato intellettuale, cercò di conquistare alla propria causa anche la Carboneria, quale associazione rappresentativa del popolo.
Sotto il dominio napoleonico fu un fiorire di logge, tra cui ricordiamo in particolare: "Allievi di Salomone" a Pizzo, "Alunni di Pitagora" a Paola, "Colonna Venetria" a Stilo, "Costanza Erculea" a Tropea, "Federazione Achea" a Rossano, "Figli del Silenzio" a Belvedere, "Filantropia Ipponese" a Monteleone (oggi Vibo Valentia), "Filantropia Numestrana" a Nicastro, "Gioacchino I" a Cosenza, "Monte d'Avete" a Belmonte, "Pitagorici Cratensi" a Cosenza, "Perfetta Armonia" a Reggio Calabria, "Umanità Liberale" a Catanzaro, "Virtù Trionfante" a Bagnara, "Virtù" a Reggio Calabria, "Zaleuco" a Gerace, "Valle della viola" a Mammola, "Scuola di Costumi" a Castrovillari, "Colosimi" ad Oppido Mamertina, "Alunni d'Archimede" a Mongrassano.
Con il ritorno dei Borboni riprese la reazione violenta, ma questo fu anche il periodo dei moti e la borghesia calabrese, dopo essere stata nel '21 sulle barricate con il vibonese Michele Morelli e con Guglielmo Pepe, essere insorta nel '31 a Cosenza, aver sperato nel '44 con i fratelli Bandiera. Una delle prime vendite attiva fu senz’altro quella di Altilia e fu formata ad opera di Gabriele de Gotti, fisico, nativo dello stesso comune ma domiciliato a Cosenza. Nel 1813 il fisico era dignitario della vendita dei Memertini Acherontici dell’ordine di Altilia e fu il chirurgo delle truppe costituzionali, spedite nelle frontiere ed era anche imputato dell’omicidio commesso in persona di Sebastiano Federici di Altilia ( alias Capobianco). Il Capobianco fu arrestato a seguito delle delazioni del vicario di Nicastro Raffaele Maria Mileti e di suo fratello. Il Vicario fu ucciso dai carbonari il 6 maggio 1815. I settari in tal modo intesero vendicare il tradimento subito.
Vendite carbonare cominciarono ad avere una certa importanza anche a Nocera, Martirano, Motta S. Lucia e S. Mango d’ Aquino. A Gizzeria la guida della vendita era affidata a Bruno Vescio e D. Antonio Miceli. A Serrastretta animatore della vendita era il Dr. Antonio De Fazio. A Nocera esisteva una vendita carbonara composta da numerosi affiliati. A Motta S. Lucia la vendita carbonara aveva il nome di “ Enciclopedia” ed il principale animatore fu il medico Pier Paolino Gimigliano. I luoghi nei quali avvenivano le riunioni venivano chiamati in gergo carbonaro: baracche; gli affiliati venivano chiamati: buoni cugini; le riunioni che si effettuavano tra gli affiliati venivano chiamate: Vendite. I paesi in gergo carbonaro venivano chiamati: foreste.
La vendita di S. Mango fu molto attiva ed impegnata e ad essa erano iscritti: medici, contadini, sacerdoti e benestanti. Il paese partecipò ai moti insurrezionali del 1820. I Sammanghesi alla vigilia del novelunio implorarono la protezione del direttore di Polizia Giampietro, il quale accolse le loro suppliche. La catastrofe politica di luglio 1820 fece cessare de Gattis dalla persecuzione dei suoi nemici, e gli consigliò di ripigliarla a tempo più opportuno. Dopo il ritiro della costituzione nel 1821, cominciò ad imperversare la repressione borbonica, guidata dall’intendente della Calabria Citeriore De Matteis. Esiste un rapporto del giudice istruttore di Nicastro, D. Salvatore Greco fatto in seguito alle istruzioni prese, dal quale si raccoglie, che in settembre 1821 de Gattis cercò di calunniare alcuni degli individui di S. Mango, con farli denunciare, che continuavano a tenere delle unioni segrete, ed a spedire diplomi di carboneria. Denuncia che fu rinvenuta falsa, giacchè colle istruzioni suddette si è provato, che nel Comune di S. Mango, dopo l’epoca in cui furono prosciolte le società segrete, non più siansi fatte simili unioni, e che la denuncia era opera del de Gattis per inimicizia, che ha con l’intera comune, e con particolari individui della medesima. Impadronitosi egli per titolo di compra di diversi fondi appartenenti al Duca di Laurito nel circondario di S.Mango, limitrofo a quello di Martirano, imprese a spogliare gli abitanti dei diritti civici, che vi avevano da secoli esercitato.
Lite aspra perciò si accese fra Sammanghesi e de Gattis. E poiché i galantuomini di S. Mango unironsi per difendere a proprie spese il Comune abbastanzamente povero, quindi nacque in de Gattis l’impegno di distruggerli a qualunque costo ed augurarsi un conclusivo facile trionfo. L’anno 1814 segnò i primi passi di questo accanito e funesto litigio: Invano la giustizia protese i diritti dei Sammanghesi in due giudizi amministrativi. Il loro sterminio, fu consumato.
Nei primi giorni di luglio 1820 il Sindaco D. Francesco Saverio Moraca, ed il Parroco di S.mango d. Giuseppe Antonio Ferrari, che sono due dei condannati, diressero una seconda supplica al direttore della Polizia generale D. Francesco Giampietro, al quali esposero le minacce, che il de Gattis profferiva contro di essi, ed i loro timori di essere calunniati, ed oppressi. La ritorsione del De Gattis contro il popolo di San Mango, non mancò di manifestarsi poco tempo dopo, allorché , sotto la minaccia ed il ricatto, fece sporgere una denuncia a carico dei componenti la vendita di S.Mango accusandoli di preparare una insurrezione contro i Borboni, ad un suo colono di Martirano tale Vincenzo Gatto. L’amicizia che il de Gattis vantava con l’intendente di Cosenza De Matteis e le mire politiche di costui fecero il resto. Dopo breve tempo vennero arrestati 11 cittadini di San Mango. De Gattis aveva una causa, sebbene iniqua, d’inimicizia contro dei Sanmanghesi. Egli convertì l’inimicizia in odio capitale.
Nelle due Calabrie Ulteriori, più che altrove, attesa la maggiore accensibilità dei caratteri di quei naturali, il colore dei partiti si manifestò più veemente e dannoso. Anzi nella seconda ulteriore Calabria lo spirito del partito fermentò molto più per l’opera di un tal D. Giambattista De Gattis di Martirano, che maestrevolmente lo dirigeva, e lo maneggiava per soddisfare gli interessi propri. Egli era l’uomo favorito dalla natura e dalla fortuna; fervido di mente, ricco di mezzi, pronto di spedienti, costante negli impegni contratti sino al loro pieno adempimento, eccessivamente furbo, di cuore oltremodo perverso, sitibondo di sangue umano, capace di tutte le forme di qual secondo Proteo, nemico capitale e persecutore implacabile dei naturali del limitrofo comune di S.Mango per accanito litigio civile dal 1814, non ancora terminato, sempre garantito da potenti protezioni, carico di reati rimasti per lui sempre impuniti, avente sempre a sua disposizione un gran numero di malvagi, e che ogn’or vantavasi di poter egli solo realizzare l’impossibile. Avidità di impossessarsi delle sostanze altrui, di dominar sopra gli eguali, e di prender esterminatrice vendetta sopra di chiunque alle sue vedute o agli interessi suoi si opponesse, spingeva e regolava le sue azioni. La strada insanguinata dei misfatti era stata da lui spesso battuta, e sempre impunemente. In tempo dell’occupazione militare fu nominato capo di battaglione Legionario, e che incaricato dal Generale Manhes, si pose alla persecuzione del rivoluzionario settario D. Vincenzo Federici di Altilia, che arrestato ebbe una tragica fine. Egli estese l’odio sino a desiderare la distruzione totale dei suoi nemici. Egli la tentò più volte invano e presso la Polizia Generale prima del novelunio, e dopo il novelunio presso le Intendenze di Catanzaro e di Cosenza. Egli per ottenerla indusse Vincenzo Gatto di Falerna a denunziare contestandone esso stesso la dinunzia. Or denunziò e fece dal denunziante Gatto convertito in testimone contestare i suoi detti.
Egli nel fine stesso credendo non sufficiente il solo appoggio di Gatto si scelse altro più forte campione nella persona di Michele Orlando di San Mango,di condizione ferraro, (che era coperto di più reati comuni, e per condanna a quattro anni di prigionia andava fuggiasco. Qual settario col grado di Gran maestro all’epoca del 1820, ed involto nei movimenti rivoluzionari prodotti da Raffaele Poerio la Gran Corte Criminale di Catanzaro aveva contro di lui spedito mandato di arresto. Egli diventò l’istrumento principale delle vendette di De Gattis, ed il cardinale sostegno della istruzione e del giudizio capitale contro i Sanmanghesi. Un governante di Provincia, nella persona di D. Francesco Nicola De Matteis, che deve, che può, che voglia conoscere il vero stato morale dei suoi governati, altra norma sicura non ha, se non quella di essere imparziale per tutti e desideroso ritrovargli tutti gli osservatori esatti della legge.
Seguendo l’opposto sistema egli da Governante si cangia in capo di un partito di una Provincia; da protettore di tutti diventa persecutore di una parte; egli trova tutto giorno colpevoli che realmente non esistono. Da giugno a settembre 1822 si fece sedurre ad inclinare per un partito; anche perché in quell’epoca egli concepì il disegno di acquistare un Ministero. Non potendosi allora mettere in dubbio la grandezza del merito nell’essersi salvato un Regno ed un trono, non gli si sarebbe potuto negare un Ministero. E risentendo lo stimolo dell’ambizione per il sospirato ministero, si determinò a consultare la malignità di de Gattis, il solo che colla tortuosità dei suoi talenti, per la potenza dei suoi mezzi, e per l’impegno di soddisfare le proprie vendette, poteva liberarlo da siffatto labirinto. Un tal D. Raffaele Bilotta, immoralissimo vagabondo, settario, volendosi procacciare un impiego, e consigliatosi con un giudice della Gran Corte Criminale di Catanzaro, presentò all’intendente di quella Provincia Marchese Arena una terribile denunzia di congiura generale delle Calabrie con Salerno e Napoli per l’opera di una nuova setta dei Cavalieri Tebani, si esibì la copia di una di una formola infernale di giuramento; si disse doversi uccidere il re, l’intendentem ed il Vescovo. Tutte le ricerche e le cure diedero per risultatamento la manifesta impostura. Una seconda dinunzia anonima fu data al Commissario di polizia del di 30 gennaio. Asserivasi scoverta una nuova Setta sotto la denominazione di Campo Europeo: Se ne spacciavano infetti i comuni di Cropani, Taverna, Borgia: Le autorità incaricatene della ricerca non diedero alcun positivo risultamento. U’altra denunzia fu presentata nei giorni 18 e 20 marzo da Vincenzo Gatto. Colla prima si manifestava la scoperta della nuova setta Dei Cavalieri Europei riformati, da lui fatta sin dal precedente Febbraio; la rivoluzione generale da aver dovuto scoppiare nel giorno 9 o 10 di quel mese di marzo; la sua seguìta associazione in tal setta colla intelligenza del General Pastore e di D. Giambattista de Gattis; e gli effetti di tal rivoluzione nella uccisione di tutti i sudditi del Re; Colla seconda ripetè le stesse cose aggiungendovi l’arrivo di una flottiglia Spagnuola in quel mese nelle marine di monteleone, ed il grado di Presidente della Setta nella persona di d. Cesare Marincola. In maggio dalla Officina della Posta di Catanzaro fu spedito a d. Pietro Raimondi in Cutro ed a D. Giuseppe Folino da Conflenti un proclama senza data, né di tempo né di luogo, senza soscrizione, senza indicazione alcuna, menocchè quella della provenienza dal porto di Madrid acchiuso in carta bianca al di dentro. Raimondi e Folino nel ricevere dalla Posta tal plico, conosciutane il contenuto, lo presentarono sollecitamente alle Autorità rispettive: Nulla potett’esser liquidato: Non se ne procedè a perizia: Non si versò sulla ricerca dell’autore di questa invenzione, che certamente fu de Gattis. Non vedendo D. Giambattista de Gattis alcun frutto sbucciare dai tanti occulti tentativi, ne immaginò uno, che a senso suo avrebbe dovuto render contento. Ricorrendo nel dì 6 giugno di quell’anno la Festa del Corpus Domini, De Gattis nel precedente 5 diresse per la posta lettere a diversi suoi amici, e fra di essi una al Marchese Spiriti Consigliere dell’Intendenza di Cosenza, nelle quali era acchiuso un cartellino contenente il seguente avviso: Giovedì scoppierà una rivolta: Tutte le autorità saranno messe in arresto:Si darà l’assalto alle carceri: E tutti gli attaccati al partito del Re fatti morire. Tutte le misure furono prese per allontanare ogni sinistro evento; ma si conobbe all’istante, che la notizia doveva essere falsa ben sapendosi, che quella Provincia tanto attaccata al buon ordine ed alla tranquillità, non sarebbe mai stata capace di ordire cospirazioni e rivolte. Nei primi di giugno De Matteis spedì in Napoli tale Rossi con direzione a D. Giuseppe Iena per denunziare alla Polizia la rivoluzione delle Calabrie; ma il Rossi lungi dall’adempiere all’oggetto di sua spedizione ne aveva adempiito un altro in opposto senso; e che ritornato nelle Calabrie, e saputo da de Matteis di non aver egli eseguita la missione, fu per vendetta arrestato per 15 giorni. Dopo la scarcerazione, il Rossi in seguito fu nuovamente chiamato innanzi a de matteis, e quivi a forza di minacce e di tormenti gli si fece scrivere per sei giorni una lunga dichiarazione sulla rivoluzione delle Calabrie. Nel di 10 giugno fu inteso de Gattis dal commissario di Polizia Spadea: Egli confessò di essere stato scritto da lui in carattere forzato il cartellino in questione, e di avere ricevuto le notizie in esso espresse da un individuo noto al General pastore ed all’Intendente Arena, il quale colla loro intelligenza essendosi introdotto nella società segreta dei Cavalieri Europei riformati le aveva acquistate, e gliele aveva partecipate. Nel giorno 28 giugno del Matteis scrisse al Ministro di Polizia di non essersi ingannato quando avea reputata per architettata e falsa la dinunzia di De Gattis, Ed il ministro rispondendogli nel dì 3 luglio gl’insinuò di badar sulla condotta di coloro, che sotto il manto di attaccamento al Governo voleano spargere allarmi per fomentar le discordie civili. Michele Orlando e Raimondo la Rosa profughi per i fatti di Poerio, accompagnati da Lorenzo Spinelli, garzone di La Rosa, tutti e tre armati di fucili, la notte successiva del 30 giugno 1822, si erano portati a dormire in Tessano nella casa di quell’Economo Curato D. Giovanni Carelli. In sul sorgente il dì 1° luglio una pattuglia di civici comandata dal Capo-Civico Luigi Misciaci per incarico del supplente Regio Giudice Albi di Depignano li assali in quella medesima casa: Accortisine i profughi ruppero il pavimento di una camera, e gettatisi nel sottoposto basso si salvarono con la fuga per certi seminati di grani. Vi fu tra essi ed i civici uno scambio di poche inutili fucilate. Martedì la sera giunse Michele Orlando in S. Mango, lasciando i due compagni nascosti in un romitaggio detto la Buda due miglia distante da Martirano, ed in tenimento di S. Mango. Fu il regio giudice del circondario a farli arrestare; ma allorchè segui la perlustrazione del luogo non più si videro. Si seppe però, che nella notte del 2, e del giorno 3 ebbero il mangiare da S. Mango in abbondanza, e che la sera a mercoledì 2 luglio a due ore di notte lasciarono il romitaggio, e si recarono in S.Mango. Colà si trattennero a tutto il di 11, quando partiti ad un’ora di notte per altri luoghi. Lo stesso de Matteis nel giorno 8 del mese di luglio fece del descritto fatto di Tessano un allarmante rapporto al Governo: In un affare, per se stesso inetto, istruito egli da De Gattis osservò lo scoppio di una cospirazione ordita fra gli altri da quelli di Sammango. Il ministro di polizia in data del 13 di quel mese rispose a De Matteis, che attendeva il corrispondente processo. Si combinano i rispettivi interessi. De Matteis si persuade, ed esulta nel vedersi abilitato a riprendere l’abbandonato impegno di dimostrare la effettiva esistenza della nuova Setta e della generale cospirazione nelle Calabrie. Del pari n’esulta De Gattis ( che manteneva a sue spese una sguadra di 10 uomini a sua scelta), perché vede presentarglisi finalmente una occasione favorevole onde appagare l’odio suo e la sua vendetta contro dei Sanmanghesi con la dimostrazione della nuova setta e della Cospirazione generale delle Calabrie. Messo in movimento il torbido spirito di De Gattis, e vedendo aperta una strada alle sue vendette contro dei Sanmanghesi presentatosi al giudice Greco di Nicastro, e prendendo la simultanea veste di denunziante e di testimone nel di del detto mese di luglio dichiarò la verità della rivoluzione architettata per il giorno del Corpus Domini, e la esistenza di una cospirazione permanente delle Calabrie. In prima prova indicò l’individuo ignoto; ed in prova della seconda addusse i fatti di Tessano. Stretto de Gattis a scoprire l’individuo che gli aveva svelato la congiura del Corpus Domini, lo manifestò il 31 luglio con sua lettera al commissario di polizia nella persona di Vincenzo Gatto. Nel di 23 agosto l’Intendente Arena, ed il Commissario di Polizia Spadea Pandolfo sentirono con la qualità di testimone Vincenzo Gatto: Costui ch’era un settario, intimo amico di De Gattis, suo dipendente, ed al medesimo subornato in ogni affare, dietro le corrispondenti interrogazioni ricevute dichiarò, che colla intelligenza di De Gattis, e del General Maresciallo Pastore introdottosi nel precedente gennaio fra le illecite unioni aveva conosciuto la novella Setta del Patrioti Europei riformati; che partecipò tale scoperta al General Maresciallo Pastore manifestandogli ancora il desiderio di ucciderlo; che per tale occasione seppe nel di 3 giugno la rivoluzione da scoppiare nel di 6 sopra tutte le Calabrie; e che i tre sorpresi in Tessano erano destinati a concertare e fissare il giorno della rivolta, giacchè per non essere arrivata l’armata in mare di Reggio non aveva potuto eseguirsi la rivoluzione del 6 giugno: Manifestò, infine i capi della Setta di ciascun paese, e tra essi D. Benedetto La Costa di Cetraro, e D. Giuseppeantonio Muraca in Sanmango. Su i principi di settembre si trovava De Matteis nel casino di Ferrari, distante tre miglia da Cosenza per riaversi dalla sua convalescenza; e con lui erano il medico suo D. Gabriele De Gotti, Carbonaro graduato, indultato per omicidio, complice nella rivoluzione del 1820, e suo confidentissimo. Quivi si condusse D. Giovambattista De Gattis, ed in lungo abboccamento avuto con De Matteis fu convenuta la presentazione di Michele Orlando, che si sarebbe ad esso De Matteis diretto dal De Gattis. In esecuzione di tale piano De Gattis per mezzo di Gesualdo Notarianni, fratello del suo domestico Giuseppe Notarianni mandò a chiamare Michele Orlando: Questi si portò subito e nascostamente in casa di De Gattis: Costui adoperando or in nome di De Matteis le promesse di libertà e d’impiego, or in nome suo la promessa di ducati 200 e le minacce di morte immediata, riuscì a persuadere Orlando a presentarsi a de Mattesi per dichiarargli diverse cose, e fra l’altro, che in Sanmango vi era una nuova Setta; e che i Sanmanghesi suoi nemici, i quali poi furono arrestati e giudicati, vi appartenevano: Egli si spinse sino a dire ed imporre ad Orlando, che dovesse le indicate cose manifestare, quantunque vere non fossero; poiché doveva egli assolutamente vendicarsi dei suoi nemici: Orlando accettò l’impresa: De Gattis corse ad informare De Matteis, e subito partì. Ed effettivamente orlando sorretto da De Gattis si presentò il di 10 di quel mese di settembre a De Matteis. Era Michele Orlando un dipendente di De Gattis perché figlio del suo colono Tommaso Orlando il quale con tutta la sua famiglia da quell’epoca acquistò la grazia di De Gattis, che aveva perduto per precedenti controversie civili. Michele Orlando andava fuggiasco da lungo tempo come perseguitato tanto in provincia di Catanzaro qual condannato a 4 anni di prigionia per reato comune, per i fatti di Poerio. E come antico carbonaro graduato; quanto nella provincia di Cosenza per l’affare di Tessano: Egli era di S.Mango e di condizione ferraio, né doveva mancare di naturale abilità: Fu egli prescelto perciò alla grande opera di denunziare la esistenza della novella setta dei Cavalieri europei Riformati, la cospirazione generale delle tre Calabrie, e l’associazione dei Sanmanghesi nell’uno e nell’altro misfatto. Ma siccome l’uomo scelto andava fuggiasco per reati e per condanne, così conveniva innanzi di ogni altro passo assicurarlo da qualunque persecuzione giudiziaria, animarlo con promesse d’impieghi, e trasformarlo in testimone integro e puro mediante un atto quasi legislativo. E tosto de Matteis ordinò d’innanzi a se Michele Orlando; gli promise un impiego; gli tolse di autorità propria la veste di imputato, di reo; di condannato. Gli applicò con una ordinanza senza data la veste di testimone puro. Chiusi per tre giorni nel casino Ferrari De Matteis, Orlando, De Gotti, e d’Agnese e tenutesi nel tal tempo continue conferenze fra tutti e quattro, si indusse finalmente Orlando a promettere quanto da De Matteis e da De Gattis si desiderava. Nel di del 13 di settembre chiamò il Commissario di polizia D. Giovambattista Chiarini, e lo costrinse suo malgrado a distendere la prima dichiarazione di Orlando su di un foglio contenente moltissime domande da farsi ad Orlando, e già scritto di carattere di De Gotti. Durante siffatta operazione De Gotti assisteva Orlando, lo incoraggiava, gli rammentava le risposte che dar si doveva, andava e veniva continuamente da De Matteis assicurandolo che tutto andava bene.
Tutto fu eseguito. Orlando però in quel riscontro non adempì pienamente a quanto aveva promesso; poiché ebbe ribrezzo di comprendere nella Setta e nella Cospirazione i Sanmanghesi suoi connazionali: Per altro vi adempì colle successive sue dichiarazioni dietro le novelle insistenze praticategli da De Gattis. Interrogato sulla partecipazione dei Sanmanghesi alla nuova setta rispose così: “ posso assicurare, che in S.Mango non vi sono individui appartenenti alla nuova setta: Che anzi avendo io un giorno fattane sollecitazione al Parroco D. Giuseppe Ferrari n’ebbi in risposta: Michele, non è possibile di parlare d’installazione di una nuova Setta in S.Mango, perché sono tutti traditori, e poi abbiamo vicino D. Giovambattista De Gattis di Martirano, il quale avendo una lite con la Comune va cercando per suoi fini lo sterminio di tre o quattro famiglie di qui, e guai se arrivasse a scoprire qualche cosa di questo. De Mattesi fu sollecito di scrivere lettera a De Gattis partecipandogli, che Orlando non aveva adempito a quanto aveva promesso, del che De Gattis si dolse fortemente con sua moglie. Nel di 15 dello stesso settembre de Matteis riferì al Governo la presentazione di Orlando a lui, la dichiarazione raccoltane, ed il salvacondotto da lui accordatogli. E successivamente nel di 20 del mese stesso compiacendosi con se medesimo delle scoverte cose per una parte, e d’altra parte dispiacendosi delle cose da Orlando occultate ( che certamente erano quelle relative a Sammango desiderate da de Gattis) diresse al Ministro della polizia un allarmissimo rapporto sulla nuova setta e sulla Cospirazione generale, comprensiva delle tre Calabrie, di Salerno, e di Napoli. Nel di 26 del mese di settembre Orlando fece una quarta dichiarazione innanzi allo stesso giudice Greco nominando per la prima volta i Sanmanghesi al numero di 6 come appartenenti alla nuova setta. Successe il mese di Ottobre: Orlando scarcerato si vide nel casino Ferrari in continue e segrete conferenze con De Gattis e con De Matteis: Anzi fu veduto De Gattis somministrare quivi delle monete di argento ad Orlando; siccome fu veduto condurre tre o quattro muli carichi di robe per de Matteis. Fu dietro quelle segrete conferenze, che orlando il 21 di quello stesso ottobre, fece innanzi a De Matteis la sua quinta dichiarazione. E’ questa la più ferale dichiarazione di Orlando nella quale fu attribuito alla nuova setta il proponimento di distruggere tutte le monarchie, e di sterminare le Famiglie Regnanti di Europa, e se ne manifestarono i componenti ed i capi, fra quali si nominarono D. Benedetto La Costa di Cetraro, ed 11 suoi compaesani di Sanmango, che erano i nemici capitali diretti di De Gattis.De Matteis vedendo già appagati i comuni desideri suoi e di De Gattis con suo foglio del giorno stesso 21 di ottobre lo investì di ogni potere anche in affari di alta Polizia, e gli accordò la piena facoltà di armare gente a piacere suo. E proseguendo nel suo bollore del suo spirito l’iniqua intrapresa scrisse nel di 8 novembre il più tremendo rapporto a Ministro di Polizia: egli scrisse, che già si era acquistato un complesso di prove sufficienti non solo al criterio morale dei Giudici, ma alla loro piena convinzione morale. Che parlando egli chiaro com’era suo costume, se per ciò fosse stato meno vegliante, la rivolta sarebbe scoppiata a colpo sicuro.Il ministro di Polizia nel di 13 dello stesso mese approvò le operazioni di De Matteis, giacchè al dir di costui sufficienti prove si erano acquistate; Gli inculcò l’arresto dei capi: Lo avvertì a badare sopra tutto di usare la maggior circospezione su di coloro, cui se ne affidasse l’esecuzione, e di esser ben cauto, onde la misura repressiva non cadesse su di soggetti che non la meritassero, e per i quali vi fosse manifesta scarsezza di prove. Nulla curando De Matteis gli avvertimenti Ministeriali commise allo stesso De Gattis nel di 18 novembre l’arresto degli undici Sanmanghesi suoi nemici. De Gattis nel di 24 novembre eseguì l’arresto degli undici Sanmanghesi, che vivean tranquilli nei domicili di loro, e pieno di giubilo per la ottenuta vendetta gli menò ben legati in Cosenza: Giunti appena in quel carcere i Sanmanghesi, condottivi da De Gattis, imploraron la di lui pietà dicendogli ripetute volte:” Prenditi la roba, chiama un notaio all’oggetto essendo noi pronti a rinunziarvi, e restituiscici alle nostre famiglie”. Ma De Gattis disprezzò le voci dolenti dei suoi nemici già umiliati e vinti. Nel di 20 dicembre il Sindaco di San Mango rassegnò al Governo l’intrigo e la persecuzione di De Gattis contro quei galantuomini. Altronde il Ministro di Polizia poco tranquillo e palpitando sempre sugli affari di Calabria scrisse di proprio moto a De Matteis nel di 21 di detto mese di dicembre, che pendendo tuttavia la causa civile tra le Gattis ed i Sammanghesi, e conservandosi perciò dell’odio dal primo contro gli ultimi, si vedeva nel dovere di richiamar la di lui scrupolosa attenzione ad essere ben cauto in adoperarsi del Gattis. Gli scrisse ancora che non godendo De Gattis buona opinione nella Provincia di Catanzaro dovesse perciò essere sempre più cauto esso de Matteis in un affare così geloso, ricercando sempre la verità, onde non darsi luogo a spirito di parte. Nel giorno stesso 21 dicembre la Corte di Catanzaro a requisitoria di d’Alessandro confermò lo stato di arresto contro Michele Orlando per le sue gravi reità in materia di Stato, nonchè spedì mandato di arresto contro al di lui fratello Gianmaria Orlando, e contro di Antonio Tucci per le medesime reità. Il Ministro di Polizia tenendo egli sempre rivolto il suo sguardo agli affari delle Calabrie, sui cui rapporti non si sentiva interamente tranquillo, avvertì de Matteis nel di 1° gennaio a proccurar sempreppiù, che il processo relativo agli affari dei Settari, che stavasi formando, fosse corredato di prove basate ed inconcusse. Dietro di ciò nel di 4 del mese stesso lo stesso Ministro scrisse cinque uffizii, due di Pastore, due di de Matteis, ed uno del generale Barone Frimont. Il Generale Frimont rispose che andava subito a spedire nelle Calabrie una colonna mobile sotto la guida del Tenente Colonnello Barone Wober, uomo sodo, che univa ad una tranquilla moderazione il genio di vedere e giudicare le cose con imparzialità, e senza esagerazione. Intanto De Matteis e de Gattis conoscendo che coi soli Orlando e Gatto non poteva presentarsi un processo completo, né poteva conseguirsi l’intento della distruzione dei Sanmanghesi, pensarono di acquistare una nuova prova più estesa e più solida per sostenere la esistenza della nuova Setta e la effettiva cospirazione: Di tanto si compromise De Gattis, e vi riuscì somministrando all’uopo molti altri testimoni, taluni sedotti per amicizia con lui o per dipendenza da lui, taluni procurati con doni e con promesse di impieghi, assicurando gli uni e gli altri di non essere per soffrire alcun danno. Condottisi essi spontaneamente innanzi a De Matteis, molti si dichiararono correi del doppio misfatto, molti se ne dichiararono semplici intelligenti, gli uni e gli altri però caricando quei che volevano distruggere. Il giorno 24 gennaio De Matteis scrisse al Governo di aver acquistate prove superflue al bisogno per Tessano e S. Mango, e di essere inutile su questo particolare proposito di farne investigazioni ulteriori. Vegliante intanto arrivato in Cosenza trovò Orlando nella casa di De Matteis conferendo sempre con costui in tutta confidenza, e trattando quivi da familiare, mentre pubblicamente dicevasi di essere l’Orlando un impostore sedotto da Ge Gattis a deporre il falso, e cotidianamente delle nuove menzogne, secondochè si espresse nella pubblica discussione il Commissario Vegliante. Nel di 19 febbraio de Matteis abbandonò la sede di Cosenza, dove sin da settembre aveva aperto la ferale istruzione sulla supposta cospirazione generale, e si condusse a continuarla in Rogliano, dove si trattenne sino al 10 del successivo marzo, quando fece ritorno in Cosenza per completarla. In Rogliano egli condusse seco il suo medico D. Gabriele De Gotti, D. Salvatore Guerra di costui nipote, dignitario della Carboneria, ed immoralissimo uomo, per cancelliere assunto, ed il suo segretario particolare D. Raffaele D’Agnese. Egli fu accolto nel palazzo dei Signori Morelli, famiglia conosciuta e stimata da tutti per le sue vere virtù: La Signora De Gemmis, allora moglie e madre, faceasi ugualmente ammirare per l’ospitalità, e per l’umanità. Arrivato nelle Calabrie con forte colonna di Tedeschi il Tenente Colonnello Barone Wober, eccellente militare, e vero filosofo, mentre credeva di dover combattere con ribelli e reprimere una rivoluzione generale, si trovò nella dolorosa circostanza di versare piuttosto le proprie lagrime, che il sangue altrui. Lettera di Wober del 3/3/1823: Non vi è una sola voce a Cosenza, e nei contorni, nobili, cittadini, sacerdoti, impiegati alti e bassi sono occupati a raccontare quei fatti, ed io rendo presentemente a V.E. l’eco della voce del popolo. Vecchi, donne, ragazzi, sono ritenuti ostaggi per loro parenti fuggiaschi, sono duramente maltrattati, e battuti senza alcun riguardo; dalle bastonate sulla pianta dei piedi non sono rare come si dice. I torchi dei pollici si applicano in una maniera diabolica. Un pollice ed un gran dito del piede vengono messi assieme sotto il torchio, e l’uomo rannicchiato in tal modo è spinto avanti con un calcio, al quale gioco le guardie di corpo del Rappresentante ed i ministri di giustizia si divertono assai. Degli atti di disperazione individuale sono inevitabili. Delle famiglie intere emigrano da Rogliano, Marzi, Conflenti, Martirano, Altilia e S.Mango, nei quali luoghi l’inquisizione dell’intendente è la più attiva, per sfuggire alla ignomia ed ai martiri della tortura. Gli sfortunati fuggiaschi si trovano nelle montagne esposti alle intemperie, alla miseria, alla fame, alla persecuzione, ed al tradimento. Nel giorno 8 marzo de Matteis ( è questo il punto il più interessante della presente causa) scorgendo, che già si era avvicinato il giudizio della Commissione Militare, e che potea sovrastare qualche disgrazia a coloro, che per colpir di morte le vittime disegnate erano stati a lui presentati da De Gattis, e ch’egli aveva inteso col carattere di testimoni, mentre si eran confessati correi della Setta e della Cospirazione, propose di non doversi quelli arrestare, e di doversi anzi contemplare dal Governo. Fra le altre ragioni egli addusse, che si sarebbe infranta la buona fede nell’arrestare individui chiamati colla divisa di testimoni. De Matteis dubitando di potergli venire meno Michele Orlando, ad onta del confidenziale trattamento usatogli, gli fece nel di 10 dello stesso marzo sottoscrivere dinanzi a se una settima dichiarazione più dettagliata, e complessiva di nuove scoperte personali: Anzi per assicurarsene pienamente lo fece nel di 11, imprigionare, e dalle prigioni fu menato pur Orlando. Lo stesso praticò de Matteis con tutti gli altri confessi intesi come testimoni, ch’erano in provincia di Cosenza, per timore che non si presentassero in dibattimento; mentre per coloro che si trovavano nella Provincia di Catanzaro furon colà prese le stesse misure. Sevizie praticate da settembre 1822. Giuseppeantonio Muraca di San Mango, uno dei principali nemici di de Gattis, fu d’ordine di de Matteis rinchiuso solo in un locale del carcere di Cosenza: Niuno poteva avervi l’ingresso, né parlargli. In un giorno fu ivi trovato morto senza soccorso, senza assistenza, senza sacramenti: l’ingenere né attribuì la morte ad un apoplessia. Francesco Costanzo di S.Mango chiamato per testimone innanzi a De Matteis vi andò col cognato Gennaro Ianni, il quale aveva ottenuta una commendatizia a De Gotti, con cui gli si comunicava di essere stato l’esibitore bene informato del come dovesse innanzi a De Matteis condursi, e nel tempo stesso si pregava de Gotti di rinfrescargli la memoria ad a passare di tutto notizia a De Matteis. Costanzo però non volle sottoscrivere la dichiarazione che De Gotti aveva già stilato di proprio pugno. Se né dispiacque de Gotti e lo accusò a De Matteis. Allora De Matteis che aveva già innanzi a se Costanzo, con terribile aspetto gli ordinò di manifestare le persone solite a visitare la casa di Muraca, e le segrete unioni che quivi tenute: Costanzo rispose negativamente, ne poteva tenervisi, stando a letto il Muraca con la podagra: De Matteis allora bestemmiando ereticamente gl’impose di sottoscrivere la dichiarazione scritta da De Gotti, o altrimenti lo avrebbe assoggettato ad aspri castighi: Costanzo si negò coraggiosamente: Pieno di furore De Matteis chiamò il capo degli armigeri e comandò loro di menare Costanzo nel basso a piano terreno nel di dentro di quel palazzo, luogo da lui destinato a tormentar la gente e di trattarlo con particolarità. Tanto bastò, perché quelli uomini feroci condottolo al basso gli ligassero i due pollici delle mani con cordella incerata, e con tanta crudeltà, che internata la cordella sino alle ossa Costanzo mandò fuori lamenti di grida, e svenne di dolore= Udì le sue dolenti voci de Matteis, che abitava nel primo appartamento, ma non ne fu tocco: Le udì la Signora Morelli padrone di casa, se ne commosse, ed entrata nella stanza di de Matteis né esternò con lui alte doglianze: De Matteis ordinò in quel momento di sciogliersi Costanzo, e condottosi alla sua presenza: Costanzo fu fermo a non dire ciocchè assolutamente ignorava: De Matteis lo fece restringere nel Corpo di guardia, e nel seguente giorno ordinò di spedirsi nel criminale carcere di Cosenza. Ciò sentendo Costanzo, e prevedendo i suoli malori, soscrisse la dichiarazione offertagli, e fu messo in libertà. Gennaro Ianni, interrogato sulla nuova setta in S. Mango avendo risposto negativamente fu mandato in arresto. Ricondotto il domani innanzi a de Matteis, il quale pretese che assolutamente dichiarasse le cose dettagli, ancorchè ignorate da lui, minacciato, ed atterrito meno dalla minacce che dal timore di poter soffrire le stesse crudeltà usate al suo cognato Costanzo, soscrisse la dichiarazione presentatogli, e fu licenziato. d. Gaspare Sacco fu interrogato sulla nuova setta in Sammango: negativo alle interrogazioni fattegli non potè esserlo alle minacce, alle percosse usategli, e ad un colpo tiratogli col ginocchio sui genitali da Guerra, che lo fece rimanere per qualche tempo svenuto. Tra questi tormenti, e tra il terrore concepito al sentire gli urli ed i lamenti di Costanzo fece la dichiarazione prescrittagli, che conteneva fatti non veri. Antonio Chieffallo di Sanmango fu anche chiamato qual testimone innanzi a de Matteis: Egli vi si condusse, ma fu interrogato da Guerra, mentre de Matteis entrava ed usciva: Dimandato sulla nuova Setta di S. Mango, e sulle unioni settarie in casa di quel D. Giuseppeantonio Muraca, rispose di non essere vere né l’una né l’altre: minacciato dopo molte ore di arresto di aspri castighi al momento stesso, che sentiva gli urli ed i lamenti di Costanzo nel basso di quel palazzo, sol perché era stato negativo, ed atterrito dal pensiero di potergli lo stesso accadere, fece sentire a Guerra, che per liberarsi da ogni guaio intendeva soscrivere la dichiarazione nel modo come trovavasi distesa: Ciò eseguitosi, fu licenziato. Bruno Moraca di San Mango fu similmente chiamato in qualità di testimone da De Matteis: Giunto alla sua presenza vi trovò ancora de Gotti e Guerra: Dimandato sulla nuova Setta di Sanmango rispose negativamente: Allora De Gotti lo fece menar nelle prigioni, donde richiamato nel di seguente De Gotti e Guerra, incominciarono a minacciarlo, e de Matteis ad atterrirlo con rimproveri e minacce di farlo morire in carcere. In quell’istante vide egli avvicinarsi a lui taluni armigeri chiamati da de Matteis, i quali ebbero l’ardire di afferrarlo pei calzoni in modo da fargli supporre, che qualche grave sevizia volesse recarsi ai suoi genitali, com’erasi detto di essersi precedentemente in persona di altri praticato: Dietro un tal concepito timore, ed atterrito dalla sevizie da Costanzo sofferte, sottoscrisse la dichiarazione già distesa da Guerra, e fu licenziato. D Francesco Monaco di Depignano, quindi giustiziato, soffrì il collare e la catena di ferro, nonché i ceppi perpetui sino a che subì la morte: Gli strumenti tormentosi furno adoperati nella di lui persona d’ordine di de Matteis con tanta crudeltà, che si immedesimaron con la carne: Il suo corpo divenne una piaga, e nido di insetti e di vermini. La moglie infelice D. Maraintonia Barberio informata dello stato lagrimevole di suo marito volò in di lui soccorso con delle pezze e degli sfilacci per medicarne le piaghe marciose ed insanguinate, così eseguì coll’aiuto del custode Cozzetti: Quindi si diresse a de Matteis per ottenerne un più umano trattamento al di lei marito: Ma quegli gli impose di mandargli la supplica per mezzo della di lei figlia di 16 anni: L’onesta moglie, ritornò scandalizzata alla sua patria preferendo la custodia dell’onore di sua figlia al sollievo del marito, già vittima degli intrighi del Giudice supplente Albi Vi furono dei testimoni sedotti, subornati con doni e con promesse d’impieghi, e spediti da de Gattis da de Matteis. Costoro assicurarono il doppio reato della Setta e della Cospirazione, e ne indicarono i rei, tra i quali con ispezionalità individuarono i Samanghesi nemici di de Gattis: Essi sono al numero di 11, e si appellano: Tommaso Mendicino Sacerdote, Francesco Guercio, Ferdinando Manfredi, Pietrantonio Manfredi di Bruno, altro Manfredi del fu Pasquale, Rosario Mastroianni Sacerdote, Mario d’Agostino, Pasquale Villella Sacerdote, Gianmaria Orlando fratello di Michele, e Rosa Orlando sorella dello stesso Michele, tutti di San Mango. Al Sacerdote d. Tommaso Mendicino promise di farlo eleggere Parroco di Amantea; Al Sacerdote d. Rosario Mastroianni promise di farlo destinare Economo in Martirano; A Francesco Guercio diede sette tomoli di cereali; A Bruno Manfredi ed al di lui figlio Pietrantonio diede in fitto le sue migliori terre della foresta; e promise all’ultimo di farlo nominare Capocivico; A Ferdinando Manfredi diede ducati quattordici; All’altro Manfredi figlio del fu Pasquale rilasciò li ducati quattordici di cui era debitore; Al Sacerdote D. Pasquale Villella, ed a Mario d’Agostino diede carlini trenta e quattro tomoli di cereali; Sotto giuramento il Notarianni riferiva che il De Gattis ripeteva spesso: IO per Gesù Cristo con un quarto di castagne faccio dir quello che voglio da testimoni contra pure s. Tommaso protettore di Sanmango. In altra occasione sparlando del vescovo di Nicastro disse pure il De Gattis: Il vescovo non mi sa, ne mi conosce, che chi se la prende con me, lo faccio andare sullo sgabello dei rei, come ho fatto coi Sanmanghesi. Nel di 16 marzo 1823 venne emanato apposito ordine del giorno con la convocazione della commissione Militare per il giorno seguente 17. Mentre la Commissioni Militare doveva tenersi in Catanzaro, si fecero venire da Monteleone e dalla Mongiana i cannoni che servivano a circondare il locale della Commissione, ed a spaventare gli accusati, i testimoni i difensori. Nel tempo stesso furono allontanati da Catanzaro tutti i parenti dei giudicabili che colà si trovavano, e tradotti in paesi distanti circa 30 e 40 miglia, facendosi in tal modo presentire ai giudicabili la vicina e sicura morte. Si aprì la pubblica discussione il giorno 2° di marzo Si apre la scena con la udizione di Michele Orlando; Si legge la dichiarazione di Vincenzo Gatto come testimone mentre era un reo confesso, non dato in nota, non citato, fuggiasco per gravi imputazioni, non dichiarato neppur necessario. Tace l’uom di legge Di 98 testimoni intesi nella pubblica discussione le dichiarazioni per 62 furono ricevute senza giuramento; ed appena per 36 di aver giurato. Sentonsi voci di testimoni, che facean conoscere di volere ritrattare le loro dichiarazioni violentate ed offese.
L’uom di legge D’alessandro ne fa partecipazione a Pastore: Un ordine gli chiama subito alla presenza di Pastore e di d’Alessandro. Lor si minaccia la fucilazione, se ordissero disdirsi. Il terrore dovett’esser molto efficace, perché i testimoni in gran parte erano stati spediti legati alla Commissione, onde non si fossero allontanati dal dibattimento al dir dello stesso De Matteis, e tutti eran tenuti arrestati in quel luogo L’art. 345 dello Statuto penale concede ai difensori la facoltà di comunicare agli accusati dopo il termine di difesa: Anche questa comunicazione libera fu proibita per chi da un momento all’altro doveva passare a nuova vita: In due porte sotterranee stavano gli accusati ed i difensori: un muro li divideva, e nel muro divisorio era una porta, nella cui parte superiore era stato tagliato un finestrino da far passare la voce: ma la porta era guardata da due sentinelle, e gli avvocati eran sempre assistiti dall’Uom di legge, che tacendo approvava il crudele divieto di quest’ultimo sollievo. Il testimone Vincenzo Cimino di Catanzaro essendosi nel dibattimento ritrattato fu mandato in esperimento; non fu richiamato più; si chiuse il dibattimento, e si condannò senza più pensarsi al testimone. Molti altri testimoni come Francesco Russo, Filippo Buonocore, Bruno Moraca, D. Gaspare Sacco, volendo ritrattare e manifestare le sofferte sevizie, nel fu al primo spaventato e minacciato di ferro; al secondo fu vietata la parola; il terzo fu redarguito di mendacio dal d’Alessandro dicendo di non essere De Matteis e Guerra capaci di tanto; al quarto fu imposto di tacere e di andar via. Conveniva per ciò, che l’Uom di legge non si opponesse. De Gattis mischiato fra i testimoni nella sala della Commissione avvertiva e ricordava loro ciocchè dovevano deporre; e specialmente non si movea dall’orecchio di Michele Orlando. Il Relatore, alzando la voce, domandò che si licenziassero li 33 testimoni rimanenti perché il loro esame non avrebbe portato maggior lume nella causa. Ed il d’Alessandro insistito dalla moglie di Monaco per la udizione dei testimoni a difesa rispose senza pietà, che non vi era bisogno.
Finito di parlare gli avvocati, si passò in quella notte alla condanna senza sentirsi neppure il rimorso di essersi vietato di parlare ai testimoni della difesa. Averte, domine, faciem tuam a peccatis nostris. Seguiamo il racconto storico della ferale sentenza: Abbattuto il fazionario regime della Costituzione, i settari di Catanzaro, paurosi della coscienza della colpa che vi avevano commessi, si diedero alla fuga. Che vi volle una amnistia, la quale si vede di essere stata quella del 30 maggio di quell’anno, per rassicurarsi, e rientrarono in famiglia. Che non vi rientrò mai Poerio; il latte del libertinaggio pareva, che ridondasse dal suo cuore, e non poteva affatto ritrovare contento, se non nella rivolta. Che il tentativo non andò a buon fine. Che i perversi settari in nulla miglioravano però le idee loro, per ripristinarsi tranquilli. Che riforma quindi li venne in mente per soddisfare al disegno, la fecero, convertendo la Carboneria su cennata in una Società di altro conio, e ad essa diedero nome di Setta dei Cavalieri Tebani, ossia cavalieri Europei riformati. In dicembre 1821 Monaco scelse per sua residenza Sanmango; sotto pretesto di un credito Monaco si fissa nella Casa di D. Antonio Angotti; Monaco aumenta la setta. Angotti, Sposato, Muraca, Ferrari ed i cinque Berardelli, tutti di San Mango fan parte della nuova setta: Se ne credea partecipe ancora il vecchio medico D. Francesco Saverio Muraca; ma una coartata lo ha provato in Nicastro al tempo di quelle circostanze, e quindi non ha potuto rimanerne dubitoso il suo settario trascorso; Era facile che tutti gli altri Sanmanghesi, come antichi carbonari, piegassero alla novella associazione: Ma prevalse poi sopra tutti la seduzione del parroco Giuseppeantonio Ferrari, il quale Oratore dell’antica vendita Carbonara, poteva influire sui mali con questa opinione, e lo poteva su dei buoni per lo sacro distintivo, di cui la aveva decorato la Chiesa; Monaco gli animava, ed attirava corrispondenze con corrieri. Monaco stimò meglio di mettersi in contratto coi settari di Catanzaro. Si forma un terzo piano per attaccare i tedeschi nella provincia di Cosenza alla coda, e dalla fronte in quella di Catanzaro. In Catanzaro si doveva far fuoco da diversi punti. De Iesse e de Pascale erano continuamente occupati ad aggregare individui alla nuova Setta. Che la cerimonia la quale di ordinario rispettivamente ne avevano ad uso era: Far chiamare fuori d’aspettativa in loro presenza l’uomo abile a portare le armi, e per lo più, che fosse appartenuto prima alla Carboneria. Sorprenderlo con l’invito di doversi ascrivere ad una nuova, e bella società, quale dicevano di essere quella dei cavalieri Tebani, ovvero dei Cavalieri Europei riformati. Farlo inginocchiare, e leggergli qualche cosa su di una carta supposta regolarmente pel di loro Catechismo. Dargli poscia il giuramento, talora sulla carta stessa, ed altre volte sopra di un pugnale fra due candele accese colla formula = alla libertà, alla morte. Iscriverne l’atto coll’inchiostro, o col sangue cavato dal dito medio di una mano del candidato, e mediante la punta dello stesso pugnale su cui giuravasi.
Imparargli per parola di passo, e quella sacra = Filomene= Tebe=Summus ulisses= Al cimento, alla morte, per segni nove pulsazioni col pollice della mano dritta, prendendo la dritta ancora del loro compagno, e contrasssegnando l’ultima con una battuta di piede su della terra; la imposizione della dritta sulla mammella sinistra con discenderla in giù, come in atto di tirare la spada, e per parola di soccorso in fine dietro un colpo della stessa dritta sul proprio cappello, le inique voci= santo diavolo= Avvertirlo e stare pronto colle armi per prenderle subito, che fosse stato il maturo di fare la rivoluzione contro il proprio sovrano. E licenziarlo poi con esigere su tutto la promessa del segreto a pena di morte.Monaco non sospese mai la corrispondenza. Il carteggio si eseguiva con lettere in gergo. Si appunta la rivoluzione per il 20 luglio, e si spediscono da Veraldi l’assente Michele Orlando e Raimondo La Rosa ad un tal Caselli di Cosenza: Monaco interviene a quella cospirazione. I sentimenti si dividono, e l’ultimatum fu per la dilazione. La vigilanza delle autorità fece sorprendere Orlando e La Rosa il 1° luglio in Tessano. I settari abbandonarono finanche il pensiero di quest’ultima concertata rivoluzione. Il relatore, terminato il dibattimento, legge le conclusioni scrittegli dall’Uom di legge pria di aprirsi la pubblica discussione, e chiede la morte di tutti e 17 arrestati. Qual fu l’avviso dell’Uom di legge? E chi lo sa!.
Mostratagli successivamente la sentenza da lui corretta sulle stampe colla sua originale soscrizione ha negato la sua firma, e la verità della sentenza, e del verbale di dibattimento della commissione Militare. Qual vergogna per un magistrato, che ha rappresentato la legge!. Furono questi fatti ritenuti dalla Commissione nella sentenza. Ma non si arresta qui la tragica storia. Spuntato il primo giorno della Santa Settimana, in cui per la pietà del suo Fattore Divino si scolorano i raggi del sole, cioè il lunedì santo, fu pronunciata la fatal sentenza, colla quale si condannarono tre a morire sulle forche ed alla multa di ducati mille per ciascuno, Francesco Monaco, Giacinto De Iesse e Luigi de Pascale; Dieci al terzo grado dei ferri: Rende ed il parroco Ferrari al massimo per 24 anni, ed i rimanenti otto al minimo per 19 anni; e tutti alle spese di giudizio; si era dichiarato non costare per i tre Marincola e per il medico Francesco Saverio Moraca ed ordinò di mettersi in libertà provvisoria.
La sentenza di morte fu eseguita alle undici antimeridiane nella universale immobilità: Tanto fu compresa dallo spavento quella popolazione. Le forche per l’esecuzione furono innalzate alla Porta Marina ed il Padre di De Jessi fece scorrere nelle mani del boia una moneta di sei carlini perché non facesse soffrire il figlio sulla forca. Francesco Monaco fu ghigliottinato verso mezzogiorno. Al giorno seguente e Pastore e De Matteis riferirono il ritorno della tranquillità sulla superficie delle Calabrie in virtù di quel tremendo esempio. O Santa, O sovrana giustizia sacrificata! O giorni santi profanati!. Orlando il 6 aprile dal fondo della prigione di Catanzaro diresse una supplica al De Matteis chiedendogli la libertà, o almeno la conoscenza del motivo del suo arresto, e non vedendo alcuna disposizione sul conto suo invio il 13 aprile altra supplica al ministro di polizia domandando di essere richiamato in Napoli per rivelare cose non manifestabili ad alcuna di quella autorità, e comunque molto interessanti al governo. Ed in verità stando allora in arresto orlando e trovatosi a passare di li De Gattis, Orlando lo chiamò, e gli chiese un soccorso. De Gattis gli diede una moneta di argento da 24 grani: Orlando gliela gittò con disprezzo ai piedi dicendo non esser quello il modo di trattare dopo aver egli fatto quanto de Gattis aveva voluto. Quindi minacciò che avrebbe svelato la verità, e che quanto si era da lui dichiarato era tutto falso, e gli si era fatto dire da De Matteis e da De Gattis. Conosciutosi da de Matteis il ricorso al Ministro, l’orlando fu per un secondo concerto tra De Gattis e de Matteis mandato a rilevare dal carcere di Catanzaro, richiamato in Cosenza, trattato con confidenza, bel alimentato, e gelosamente custodito sino a che non fu proditoriamente ucciso.
In luglio 1823 l’Orlando abilitato da De Matteis contro gli ordini ministeriali a condursi nella sua patria di Sanmango per visitarvi l’infermo Tommaso suo padre ,entrato in uno dei fondi di De Gattis dove si trovava Giuseppe Notarianni, disse con risentimento a costui: De Gattis mi fece fare una rovina, ed ora non vuol darmi li ducati 200 che mi promise: Io lo vado a scannare dentro la casa. Il 17 luglio De Matteis riferì al Ministro di polizia che avendo egli accordato a Michele Orlando il permesso di condursi in S.Mango per visitare l’infermo padre Tommaso Orlando, ed avendo per sicurezza di sua persona fatto accompagnare da competente forza, al ritorno era stato l’Orlando ucciso da una Orda settaria. Era questo il solito nome con cui si coprivano i propri misfatti. Questo assassino non si è fin’ora vendicato. Né si è giudicato ancora se gli uccisori fossero stati tal Bagarino e Caterina per mandato delle famiglie dei condannati, o i fratelli Bonacci per mandato di de Gattis. Chi ha senno e volontà di conoscere il vero non tarderà a ravvisare gli assassini di Michele Orlando. Nel di 8 agosto Tommaso Orlando, padre dell’ucciso dimandò per se l’impiego promesso al figlio Michele; e dimando la liberazione dell’altro suo figlio Gianmaria Orlando, che per servire alla causa era stato da De Matteis rimesso ligato alla Commissione Militare, e che tuttavia giaceva nelle prigioni. Richiestone de Matteis rispose favorevolmente per la prima domanda: In quanto poi alla seconda dimanda si giustificò dicendo, che il Gianmaria orlando era stato ritenuto in carcere insiem con altri per dubbio che si sarebbero esso allontanati dal dibattimento Clamori generali da ogni labbro, e da ogni angolo delle Calabrie si elevarono al piè del Trono contro la processura ed il giudizio.
Essi furono accolti dalla Giustizia dell’allora vicario Francesco, e vennero spediti al Ministro di Polizia nel di 29 marzo Il Re nel di 25 aprile 1823 ordinò da Vienna di richiamarsi in Napoli tutti gli atti della causa. Con real reiscritto del 16/12/1823, fu ordinato: -che in ordine al complesso di processura compilata dall’intendente De Matteis, ed alla correlativa decisione del 24 marzo ultimo emessa dalla Commissione militare di Catanzaro, con l’intervento dell’Uom di legge Procuratore Generale d’Alessandro per la condanna eseguita dei tre rei alla pena di morte, e di dieci altri al terzo grado dei ferri, siano intesi i suddetti Intendente De Matteis e il Procuratore Generale d’Alessandro, a ciò porgono le discolpe, e le spiegazioni, che rispettivamente appartengono al disimpegno ed ai doveri inerenti alle proprie di loro funzioni; -che fossero posti in libertà provvisoria i detenuti dipendenti dalle processure suddette; e fossero sospesi gli ordini di arresto fin’allora emessi sul conto degli imputati assenti per le processure medesime, tranne i provvedimenti per i reati comuni, e quelli risultanti dalle quattro summenzionate istruzioni eccettuate. Ognun vede in questa determinazione Sovrana un atto di giustizia e di grazia insieme, anzi meno di grazia, che di giustizia; poiché i quattro avvenimenti di luglio 1821 furono giudicati e puniti. Furon giudicati quei di Mesoraca, Stalettì, Gimigliano e Rossano.
Furon messi in libertà tutti i detenuti; gli innumerevoli mandati di arresto furono revocati; La stessa suprema Commissione di Stato nel di 21 agosto 1827, avendo dovuto giudicare altri provenienti delle stesse processure gli pose in libertà. Le Calabrie riacquistarono la loro perduta pace; e si vide per la prima volta sottoposta ad esame la condotta di due primari magistrati E venne il il 30 giugno e 1° luglio 1830!. Per coloro che avevano ordito la congettura fu emessa sentenza di condanna dalla Suprema Corte di Giustizia in Napoli con l’atto di accusa sostenuto dal’avvocato generale Giuseppe Celentano e dalle cui conclusioni è stato tratto integralmente quanto riguardante i fatti del 1823. Francesco Nicola De Matteis fu condannato a 10 anni di relegazione, Giovambattista De Gattis e Vincenzo Gatto furono rinviati ai tribunali correzionali. Negli anni successivi un decreto Reale di amnistia concedeva la libertà a tutti i colpevoli. Cosi va la storia.
COGNOME NOME | PATERNITÀ | MATERNITÀ | ETÀ | NASCITA | CONDIZIONE |
Francesco Berardelli | Fu Alessio | Agnese Berrardelli | 60 | Sanmango | Falegname |
Alessio Berardelli | Francesco | Giovanna Spagnuolo | 28 | Sanmango | Proprietario |
Antonio Berardelli | Fu Alessio | Agnese Berardelli | 53 | Sanmango | Falegname |
Domenico Berardelli D.Gaspare | Fu Alessio | Agnese Berardelli | 40 | Sanmango | Bracciale |
Sposato Antonio | Samuele | Antonia Ferraro | 53 | Sanmango | Medico |
Angotti F.Saverio | Fu Francesco | Teresa Angotti | 28 | Sanmango | Sacerdote |
Moraca D. Giuseppe Antonio | Fu Angelo | Teodora Manfredi | 61 | Sanmango | Medico |
Moraca Carmine | Fu Angelo | Teodora Manfredi | 55 | Sanmango | Possidente |
Muraca Rosario | Fu Angelo | Giustina Guido | 50 | Sanmango | Armiere |
Berardelli D. G.Antonio | Paolo | Agata Sposato | 48 | Sanmango | Massaro |
Ferrari | Fu Pasquale | Carmina Frajacono | 56 | Sanmango | Parroco |
Nel 1900 da più parti si vagheggiava la realizzazione di un monumento da intitolarsi ai martiri del 1823. La proposta venne portata avanti principalmente dal Maresciallo Felice Manfredi e l’Amministrazione Comunale poco tempo dopo la fece propria con la seguente motivazione: “ Il consigliere M.llo Felice Manfredi ha espresso il desiderio che ai due lati del portone della Casa Comunale siano murate due lastre di marmo, nelle quali si siano ricordati i nomi di quanti sammanghesi incontrarono la morte e la galera nelle guerre per l’indipendenza e dell’unico nostro concittadino, che nelle deserte ande africane cadde sotto il piombo abissino. Rilevata la nobiltà del voto, che ha espresso il Sig. Felice Manfredi, giacchè con esso si vuol consacrare alla riconoscenza ed alla ammirazione dei posteri il nome di coloro che in tempi tristi per la patria nostra seppero con animo generoso incontrare la morte e seppero scrivere così per la nostra Sanmango una pagina gloriosa del nazionale riscatto.
Quei nostri fieri cittadini, immacolandosi per il conseguimento di un grande ideale, furono e rimarranno esempio nobilissimo di eroiche virtù cittadine, alle quali si ritemprerà, come a fiaccola viva, il carattere delle nuove generazioni a cui sono destinate le battaglie non meno nobili e non meno sante per la redenzione degli umili e l’affratellamento ed il progresso dell’umanità.