BREVE STORIA DI SAN MANGO D'AQUINO

Ricostruire in poche righe la storia della terra in cui ha gravitato San Mango e di quelle limitrofe fino al 1591, anno di acquisto del feudo di Savuto con le relative dipendenze da parte di D. Carlo d’Aquino, è impresa tanto ardua quanto inutile. Appare più opportuno delineare per grandi tratti le fasi salienti della storia, senza troppo soffermarsi su nomi e continui "passaggi di proprietà. Intorno all’anno mille la terra di San Mango propaggine della terra di Savuto  e sino al 1591 ha fatto parte dello Stato di Aiello, comprendente anche Lago, Serra Aiello, Cleto, Laghitello e Savuto, la cui estensione era superiore ai 92 Kmq.
La storia di Aiello, come d’altronde quella di tutta la Calabria, è caratterizzata da continue invasioni straniere.
Le origini della cittadina aiellese si perdono nella oscura notte dei tempi remoti. Tale fatto e' spiegabile soprattutto con le innumerevoli dominazioni straniere, che da tempo immemorabile trovarono stabile sede nella nostra fertile terra. Si inizia con l’avvento dei greci e dei romani, per passare poi alle invasione dei bizantini;ma questo non è che l’inizio. Per la sua posizione Aiello ha subito diverse invasioni, ma mai riuscite, essendo arroccata su un costone da dove si domina un bel paesaggio. Aiello si vuole fosse la mitica Tilesio, città scomparsa, o, forse, Atheja che alcuni studiosi collocano nei pressi di Corica.  Secondo alcuni antichi scrittori, Aiello sarebbe stata originata dai profughi di Tempesta o di Tillesium, mitiche citta' fondate dai Greci nel periodo delle grandi migrazioni colonizzatrici in quella zona, che poi si disse Magna Grecia. La nascita di Aiello potrebbe risalire agli ultimi anni del secolo decimo dell'era cristiana, quando la cittadina dovette sostenere il tremendo urto di un bellicoso popolo asiatico: i Saraceni, che, feroci eredi degli Arabi, andavano scorrazzando per mari desolando le nostre belle riviere. Si sa che Aiello fu sede vescovile fino all'anno 981 quando venne distrutta dai feroci saraceni. I profughi di Tillesio sono stati attratti dal luogo dove sorge Aiello non solo per il fatto che il sito garantiva ogni difesa, ma anche dall' amenità e dalla bellezza del luogo stesso. In seguito alle incursioni di altri Musulmani, la popolazione si disperse dando vita a tredici casali, a loro volta abbandonati quando la situazione divenne più tranquilla. La prima documentazione dell’esistenza di Aiello, tuttavia, risale al periodo dell’arrivo in Calabria dei normanni (1059), periodo in cui la città inizia a diventare un centro rilevante nello sviluppo sociale. Durante l'assedio del 1065, Ruggero il Normanno vi perse due suoi congiunti, Roger figlio di Scolland ed il nipote Gilbert, che furono sepolti nell'abbazia di Sant' Eufemia. Negli anni successivi la conformazione urbanistica contribuiva a farla diventare una delle fortezze più importanti del Regno.
Dopo la conquista, i normanni cercarono di assicurarsi il dominio di tutta la regione, con la costruzione di una linea di fortificazione o castelli, nei punti strategicamente più importanti. Tra gli altri costruirono il castello di Aiello e Martirano a guardia della valle del basso e medio Savuto. E anche da pensare che in tale epoca fu costruito puranche il castello di Nocera sulla sommità che domina il paese per sbarrare le vallate del Grande e del Rivale
Durante l’avvento dei normanni (1087-1189) venne stabilita una nuova ripartizione delle diocesi. Il territorio calabrese fu diviso in 25 diocesi. In tale contesto la diocesi di Amantea viene soppressa ed aggregata a quella di Tropea. Nel 1088 Ruggero confermo alla chiesa di Tropea il possesso di tutti beni mobili ed immobili, delle rendite e sei anni dopo Lustego, primo vescovo latino, allargava i confini delle propria diocesi fino ad Amantea. Da tale epoca il territorio di S. Mango e quello di Nocera e sino al 1963 secolo furono aggregati alla diocesi di Tropea-Nicotera; Con diploma del 10.11.1094, dopo aver ottenuto l’autorizzazione del papa urbano II, Roberto il Guiscardo si premurò puranche di fare donazione alla mensa vescovile di 1500 tomolate di terreno nominati “Spolitretto, Catusi, Pietramone, Destre e Maletta” e siti in Terra di Nocera.
Nocera durante la dominazione normanna restò un centro urbano demaniale. Nel 1240, però,  Federico II, allo scopo di ottenere il possesso dell’intero territorio di Nicastro, pensò di compensare la feudataria Abbazia di S. Eufemia, con la cessione di altri territori dipendenti dalla Corona siciliana e fra questi venne compresa la  terra di Nocera. Da tale epoca Nocera diventa feudo ecclesiastico alle dipendenze dell’Abbazia benedettina di S. Eufemia.
La sua amena posizione strategica rese Aiello sempre un centro ambito dalle varie potenze che si contesero la supremazia della zona: subì le incursioni dei Saraceni, l’assedio normanno e la denominazione angioina. Verso la fine del 1100 la Terra supera il suo ruolo di centro strategico e nevralgico per divenire ancor di più un nodo strategico di estrema importanza nello sviluppo sociale.
Enorme progresso che si acuisce ancor di più con gli Hohenstaufen (Gli Svevi), vista la politica di Federico II. Aiello sin dall’inizio si era schierata con gli Svevi (1189-1266), subendo però alla loro caduta le feroci ritorsioni degli angioini ( 1266-1442). Sin dall’avvento degli angioini venivano posti in ruoli strategici di responsabili i propri seguaci. Nel 1221 è conte di Aiello Riccardo, fratello dell’arcivescovo di Salerno, sotto la reggenza di Carlo I d’ Angiò. Nel 1265 troviamo Guglielmo Usvardo come castellano di Aiello e comandante di una nutrita guarnigione di soldati. Lodovico de Rojre e Guglielmo de Foresta ( già castellano di Cosenza e possessore di Feroleto), entrambi capitani di guerra, sono i castellani di Aiello e di Pietramala nel periodo 1271-1273. Nel 1321, vi appare addirittura il fratello di Re Roberto, Giovanni conte di Gravina. E nel 1421 Luigi III di Angiò nomina castellano e capitano Giovanni, conferendogli inoltre in feudo la città e le dipendenze di Pietramala, Lago, Savutello. La dominazione angioina continua fino all’avvento degli aragonesi.Battuto Manfredi a Benevento da Carlo d’ Angiò nel 1266, finiva la dominazione Sveva ed iniziava quella Angioina. Il governo Angioino fu caratterizzato da lotte interne e povertà. Essendo stata trasferita la capitale da Palermo a Napoli, Carlo d’ Angiò fece una politica di oppressione e sfruttamento nei confronti della Sicilia, causando gravi malcontenti che sfociarono nell’insurrezione dei "Vespri" il 31 Marzo 1282. Venne coinvolto il re Pietro III d’Aragona che poteva vantare diritti sul regno di Sicilia e Napoli, avendo sposato Costanza figlia di Manfredi. Il feudo di Giovanni viene ereditato dalla figlia Antonia, Dama della regina Giovanna II, e dal marito Arturo Pappacoda e nel  1425 vengono vendute a Giovanni Sersale, proveniente dalla nobile famiglia di Sorrento, con l’assenso di Luigi III tramite il suo giudice e consigliere Antonio Telesio. Re Alfonso I d’Aragona nel 1442 conferma la stirpe dei Sersale concedendo il feudo con le rispettive dipendenze ad Antonio Sersale; in seguito subentrò il figlio Sansonetto Sersale il quale creò non pochi problemi in quanto lo stesso si era reso responsabile di diverse angherie a danno della popolazione e soprattutto perché aveva favorito gli angioini nei loro tentativi di riconquista del regno, tanto che il re personalmente dovette intervenire a proprio favore negli anni 1452 e 1453. Sansonetto venne destituito dal possesso feudale dopo apposito processo dalla carica per fellonia di Maestà lesa in quanto ribelle ed il 27 aprile 1463  Ferdinando I d’Aragona conferì i feudi Ajello e Savuto al Vicerè di Calabria,  benemerito Francisco (de) Siscar di Valencia, per la sua fedeltà ed i suoi meriti nel sedare le rivolte di Cosenza del 1441 e dei Centelles 1444,  nominandolo contemporaneamente conte. Al viceregno risalgono le principali strutture del Castello di Ajello. Tanto fu l’ attaccamento del Vicerè alla città di Aiello che in accoglimento della sua volontà alla morte avvenuta nel 1480, le sue spoglie vi trovarono perenne riposo. Durante il periodo del vicerè Siscar  in Aiello figurano nuove famiglie da annoverare tra i seguaci degli Aragonesi come la famiglia romana Savelli da cui pare abbiano avuto origine i Giannuzzi. Alla morte del vicerè Siscar, avvenuta il 1480, il feudo viene confermato Il di lui figlio Paolo.
Negli anni successivi prosegue la signoria con Antonio I, figlio di Paolo, con suo figlio Alfonso, il figlio di questi Antonio II, il figlio di quest’ ultimo Alfonso II, Fabio, Francesco, Carlo, Giovanni. Nel 1589 dietro la morte di don Fabio Siscar, trovandosi la di lui eredità gravata di debiti in 9000 ducati, fra i quali  le doti della di lui moglie Francesca Cunone passata in seconde nozze col Sig. Pompeo Sersale di Cosenza, dal tutore di donna Fulvia Siscar, unica figlia di don Fabio si tenne ricorso onde potersi vendere il feudo di Savuto.
Fu per ciò per ordine del S.R.C. spedito in Calabria il dott. Francesco Madotti Tabulario napoletano a farne l’apprezzo. La lunga e dettagliata relazione dello stesso fatta al SRC in data 25 giugno di detto anno è chiara abbastanza per chi conosce la corografia di quel territorio, per non dar luogo ad equivoche interpretazioni. I terreni di natura feudale, conosciuti sotto il nome di gabelle, tutte esistono alla riva destra del fiume, ed in queste consiste quasi la totalità delle rendite riportate in relazione.
Da un atto del 12 luglio del 1562 si evince che il feudo era passato al Regio tesoriere Ascanio Amoni, e che la sua vedova Eliodora Sambiase lo aveva venduto a Don Fabrizio Pignatelli, marchese di Cerchiara; L’ultima erede Siscar fu la contessa Diana  Ventimiglia (1574) e nello stesso anno il feudo e la contea di Ajello passò sotto la dinastia dei Cybo – Malaspina di Massa, che ne fece acquisto per 38.000 ducati da parte del principe Alberico ed il cui dominio durò fin oltre il 1.700.
I documenti di quegli anni ci mostrano un  singolare intreccio di interesi che gravitato sull’area di Aiello: se da un lato il principe Cjbo è ormai padrone delle terre, vi è ancora un Siscar, don Fabio, barone della Terra di Savuto, che vanta diritti fiscali quale donatario della Diana Ventimiglia, ed i cui eredi nel 1587 regoleranno beni feudali. Vi appaiono altri siscar: Diego, i suoi figli, Lucrezia, ed ancora nel 1657 in d. Antonio è conte di Aiello;
La famiglia Cybo contribuì a far rifiorire lo Stato di Ajello e si concluse con Beatrice, ultima duchessa di Ajello che morì nel 1829. Lo Stato di Ajello era in quegli anni composto da Ajello stesso, da Lago, Laghitello, Serra e Terrati.Ebbe a subire danni disastrosi dal terremoto del 1638; in quell' occasione, tra gli altri edifici, venne distrutta la cinquecentesca chiesa di San Nicola. Il castello dei Siscar, eretto nel sec. XV, di cui la stampa del Pacichelli mostra con eloquenza la sua possente mole, è posto in cima all'abitato in posizione panoramica e strategica; ha ponte elevatoio e cinque porte ferrate. Tra i resti che vi rimangono superstiti alle erosioni del tempo e all'incuria degli uomini, sono visibili delle torri, torniere e cinque cisterne per il fabbisogno idrico della popolazione e altri elementi minori quali balaustre, muri perimetrali, torri angolari speronate..
Per quanto riguarda l’attuale Cleto ignote ci sono le sue origini anche se la tradizione erudita del Barrio riporta alla leggendaria Cleta, nutrice di pentesilea, regina delle Amazzoni che, all’epoca in cui si combatteva la guerra di Troia, sarebbe approdata sulle coste tirreniche calabresi per fondare un paese al quale avrebbe poi imposto il suo nome. Altri ritengono, invece, che il mito di Cleta, genitrice di Kaulon, vada ricondotto alla storia di Kaulonia. Non è escluso anche che sia stata una delle prime famiglie feudali ad imporre il nome a questo paese . Dal sec. XII al 1862 si chiamò Pietramala dal nome della famiglia che ebbe ad infeudarlo, poi Cleto. A 1239, Iacobus di pietramala; a 1269, Castri Pietramala; a 1310 Pietra Mala.
Lodovico de Rojre e Guglielmo de Foresta ( già castellano di Cosenza e possessore di Feroleto), entrambi capitani di guerra, sono i castellani di Aiello e di Pietramala nel periodo intorno al 1270-.
Nel 1271 compare nel feudo di Savuto una nobile famiglia napoletana, i Sersale di Sorrento i cui discendenti nel corso dei secoli si stabilirono in vari centri meridionali. Si ha notizia che in tale anno Bartolomeo sersale, già Vicerè d’Abruzzo fu investito del feudo di Savuto; Dal 1425 Ajello passa sotto la proprietà di Giovanni Sersale, proveniente dalla nobile famiglia di Sorrento. Re Alfonso I d’Arogona (1442) conferma la stirpe dei Sersale; nel 1462 dei Marano; dal 1463 e sino al 1567  Ferdinando I d’Aragona conferì i feudi Ajello e Savuto al Viceré di Calabria,  benemerito Francisco (de) Siscar di Valencia  nominandolo contemporaneamente conte; dal 1567 al 1577 passa ai Cavalcanti; dal 1577 passa ai Cavallo di Amantea che vi rimangono fino al 1606.
Nel 1591 Carlo d’Aquino aquista il feudo di Savuto con le relative dipendenze sotto l’asta fiscale  della Regia Camera dopo ottenuto il regio exqo e l’apprezzo delle terre che si ordinarono al tabulario napoletano Madotti  dalla cui stima risultava che le terre avevano un valore di ducati 26.000 compresi ducati 600 per parte burgensatica.Dal 1616 al 1806, subentrarono i Giannuzzi Savelli.Nel 1717 la parte di là del fiume Savuto viene acquistata dalla casa Le Piane ed il territorio di Sanmango viene diviso da quello di Savuto. I resti della muraglia perimetrale dell’imponente castello medievale, sito sulla cima del monte S. Angelo testimoniano l’importanza di questo poderoso edificio di origine normanna a pianta quadrangolare, eretto nel XIII sec. Dai baroni di Pietramala. Subì consistenti rifacimenti nel corso del ‘500. Oltre ai resti delle aggiunte posticce volute dalle famiglie d’Aquino e Giannuzzi Savelli, sono superstiti avanzati della cinta muraria, dei bastioni e delle torrette; inoltre, ruderi delle due torri cilindriche di epoca medievale. Nella frazione Savuto, nota nel 1524 come Castrum Sabatii, che sovrasta di poco l’omonimo fiume, ben visibile anche dalla vallata opposta di San Mango d’Aquino si notano avanzi di un castello feudale edificato sopra la roccia; in evidenza i resti delle mura perimetrali e del portale in pietra del sec. XVI; su un muro, vi è una iscrizione con dedica in lingua latina di Eliodora Sabbasia o Sambiase, del sec. XVI:” Eliadora Sambiase, già giovane sposa unita al marito Ascanio Aimone, offre templi a Dio, limpide acque ed orti verdeggianti alle ninfe ed al castello di Savuto come albergo a chiunque ne abbia bisogno”.
Tornando al nome del paese, la tradizione raccolta che inizialmente si chiamasse Pietramele e che un vescovo di passaggio, ci si ruppe una gamba e volle che si mutasse in Pietramala. Origini di Martirano (ricerche a cura del Geom. Francesco Torchia) Testo tratto dal volume Martirano memorie storiche di Francesco Mendicino
Le origini di Martirano sono spesso associate all'antica Mamertum, la leggendaria città bruzia che sorgeva in zona montana, percorsa dal fiume Savuto, conosciuto in era romana con il nome di Sabazio, alle pendici della Sila, meglio come Selva della pece, motivo per il quale era detta anche Mamerzio nel significato d'altare di Marte, quale città dedicata, appunto a Marte, divinità che era il simbolo della guerra e delle dispute marziali. Episodi eroici dei combattenti abitanti di Martirano sono ricordati durante la battaglia contro Pirro che marciava alla conquista di Roma, al quale opposero una memorabile resistenza nella battaglia avvenuta nei pressi di Decollatura, nel suo avanzare con al seguito gli elefanti nel tragitto e nel territorio tra Nicastro e Martirano. Alla definitiva sconfitta di Pirro, Re dell' Epiro, i romani formarono la federazione italica condizione che, e con l'obbligo di provvedere al loro sostentamento, in ognuno di esse sostassero postazioni militari, in un complessivo progetto di unificazione dell'intera penisola italiana che era rafforzato dal programma di collegamento tramite una rete viaria molto estesa diffusa e capillare le cosiddette vie consolari che partivano da Roma fino a raggiungere anche il più remoto angolo del regno di Roma.  Cosi fu anche il Bruzio come era allora denominata la Calabria, con la costruzione della Via Popilia che nel 132 a.c. partendo da Capua attraversava Cosenza, passando da Martirano arrivava a Reggio Calabria, lungo il fiume Savuto, al cui attraversamento si provvide alla costruzione del ponte ad unica campata, in pietra, un'opera di alta ingegneria, ancora integro e perfettamente visibile che ricade nel comune di Scigliano, fu detto di Annibale che lo attraversò nel 202 a.c. e che provvide alcune necessarie opere di ristrutturazione. A sud di Martirano oltre al passaggio della Via Romana fu stabilita una stazione fluviale "ad Sabatum flumen", importante incrocio commerciale e presidio militare che si rivelò in seguito strategico per il passaggio obbligato delle truppe saracene che nel X secolo minacciavano le zone interne della Calabria. Da qui la rete viaria conduceva al fiume amato "statio ad turres" da dove alla volta di Vibona portava a Reggio Calabria. Gli avvenimenti storici, conseguenti alla fine dell'impero romano d'occidente vide l' Italia invasa da popolazione barbara calate dal nord Europa che si insediarono formando il regno romano-barbaro, con il primo Odoacre Re che si incoronò re d'Italia sostituendo il legittimo erede, allora regnante, Romolo Augustolo. La situazione, divenuta un po’ più stabile con il re dei goti Teodorico, alla cui corte vi era in qualità di segretario personale del re, il ns. Cassiodoro, cambiò nel volgere di un breve arco di tempo. Nel 555 è l'età bizantina a prelevare con l'occupazione del territorio calabrese tra Rossano e da Amantea e Reggio Calabria, mentre i Longobardi nel 468 occuparono parte della Calabria, tra cui Martirano con i Gastaldati di Cosenza e Cassano, tra la valle del Crati e dal fiume Lao al Savuto. La Calabria Bizantina subi la radicale trasformazione della cultura latina in quella orientale, di contro la parte caduta in mano longobarda, tra cui Martirano, conservò il rito religioso e la loro civiltà latina, in un  alternarsi di lotte durate 500 anni. Nell'anno mille, all'arrivo dei Normanni, con in testa Guglielmo, figlio primogenito di Tancredi d'Altavilla, che nel 1044 si fermò nel castello di Stridola, che era lungo la valle del Crati, si assiste al tentativo di unificare il Sud d'Italia.
A Guglielmo era successo il fratello Drogone , nel 1047 chiamò in aiuto Roberto il Guiscardo, dando inizio alla dominazione Normanno-Sveva che contribuì a recuperare la situazione economica e sociale dei territori calabresi, ma nello stesso tempo alla trasformazione politica dell'ordinamento istituzionale in quello feudale, le cui tipiche espressioni furono la suddivisione del potere in quello dei marchesati, dei ducati e delle contee. Con bolla papale di Stefano IX, il 24 marzo del 1058, Roberto il Guiscardo istituì la diocesi di Martirano (La diocesi confinava con quella di Cosenza, di Catanzaro e di Nicastro, nonché con quella di Tropea (-Nei secoli seguenti, la Diocesi seguì e subì le alterne vicende delle dominazioni straniere succedutesi e che esercitavano il loro potere non solo in campo civile, ma, spesso, anche in quello religioso. Il 27 giugno 1818, con la bolla "De utiliori" di Pio VII, la Diocesi di Martirano venne soppressa e aggregata a quella di Nicastro, che acquistò, così, maggiore importanza non solo per espansione territoriale, ma anche per l'aumentato numero del clero e dei fedeli e per l'incorporazione di alcune case religiose, fra le quali la celebre Abbazia di Corazzo, di cui fu Abate anche Gioacchino da Fiore). L'estensione territoriale rimase inalterata nel tempo, anche se alle iniziali città e Casali se ne aggiunsero altre, man mano che gli antichi piccoli nuclei andavano popolandosi e se ne aggiungevano di nuovi. Fu il caso di centri, come Decollatura, Pedivigliano, Soveria Mannelli, solo per citarne alcuni, che si ingrandirono, aggregando, in alcuni casi, anche piccoli casali, fino ad acquisire nel XIX secolo lo status di Comune autonomo)  e durante la reggenza di Ruggero II fu costruito l'imponente Castello-fortezza che dominava la valle del savuto ed una lapide sul portale di accesso principale riportava l'anno di edificazione del mese di aprile del 1113 nel tredicesimo anno di regno di Ruggero, divenendo un capo saldo del sistema difensivo normanno realizzato in quegli anni (l'originale di quella trascrizione era custodito nell'archivio cittadini, e fu in seguito autenticata dal notaio Spina).Accesa fu la disputa per l'eredità del regno alla morte di Ruggero II che sfociò in episodi in accanita lotta tra Costanza che era la zia del figlio legittimo di Ruggero: Guglielmo il buono e Tancredi che era figlio illegittimo di Ruggero II. Durante una sanguinosa battaglia alle porte di Martirano le truppe di Tancredi furono sconfitte e la contea di Martirano fu concessa a Enrico Kalà che era il luogotenente di Enrico VI di Hoenstaufen marito di Costanza. A memoria di quell' episodio per premiare la fedeltà degli abitanti di Martirano. l'accaduto fu ricordato con una lapide posta sulla facciata del castello che fu potenziato dalla costruzione di una torre nel 1197, il Kalà fu particolarmente generoso con la città di Martirano e tra il 1205 e 1209, provvide infatti, a costituire scuole pubbliche ed ospizi per i poveri fu generoso con la Curia Vescovile, alla quale, tra i tanti privilegi concessi, donò il vallone cupo nel comune di Conflenti. Nel 1226 anche l'erede di Enrico kalà di nome Enrico fece rifare la Torre del Castello, fortificandola con oggetti di rame, di cui in' iscrizione ne verifica il fatto. Durante le invasioni saraceni anche Martirano diede il suo contributo divenendo centro di raccolta di armi e soldati e Federico II per riconoscenza, potenziò il castello con un'altra torre e nel 1243 era ricordato con la sistemazione di una targa marmorea sulla porta del castello. A Martirano mori nel 1242 il figlio  primogenito di Federico Arrigo che aveva ordito una congiura contro il padre. A ricordare il triste evento, il Vescovo di Martirano Giacomo Maria Tarsia pose a ricordo un'epigrafe nella chiesetta di S. Marco. L'undici gennaio 1271, in territorio di Martirano, moriva la regina Isabella d'Aragona, incinta di sei mesi, per una caduta da cavallo mentre attraversava un affluente del Savuto, di ritorno dalle crociate con il marito Filippo denominato l' Ardito, figlio del re di Francia San Luigi IX. Le spoglie mortali di Isabella furono in parte sepolte nel Duomo di Cosenza ed altre traslate in  Francia nella Chiesa di San Dionigi. L' Europa medievale. tramontava per sempre con la morte di Corradino, ultimo erede della dinastia Normanno-Sveva giustiziato da Carlo D' Angiò il 29 ottobre del 1268.
Sono i secoli delle aspre contese tra Angioini ed Aragonesi. Il vescovo di Martirano, Roberto, schierato a favore della causa Angioina, fece parte della commissioni nominata da  Carlo, figlio di Carlo I, per esercitare il controllo sulle norme varate alla convocazione del Parlamento in data 30 maggio 1283. Quell' incarico fruttò al vescovo di Martirano, il feudo di Castel di Pietro, in Montecorvino.Il castello di Martirano, in epoca angioina, divenne una prigione, dove erano rinchiusi i nemici del re. Carlo lo Zoppo, nel 1329, arricchì di nuove opere il Castello , mentre  nel 1402 Ladislao ne fece dono al cittadino Martirano Bernardo Scaglioni, comandante supremo dell'esercito del re. Gli anni successivi, furono segnati da tempi difficili e privi di risorse economiche. Nel 1442  sale a trono Alfonso d'Aragona, al quale fa seguito Federico d' Aragona, fino all'occupazione francese del 1501, terminata con l'arrivo degli spagnoli, alla testa di Consalvo de Cordova, che occupò Martirano, nel 1494, per affermare un duraturo periodo di permanenza fino al 1734. Nel 1496, Andrea de Gennaro, capitano di Federico d' Aragona riceve dal suo Re la Contea di Martirano, un vasto territorio che spaziava su tutta la valle del savuto e comprendeva conflenti, Motta Santa Lucia, e Altilia Grimaldi. L'età feudale fu funesta per le condizioni di miseria in cui versava l'intera popolazione, per lo più composta da contadini  e pastori, tiranneggiata da una folta schiera di seguaci del potente feudatario di turno. L'oppressione da parte dei potenti portò il popolo nel 1512 ad una forte ribellione che fu soffocata nel sangue con una feroce repressione, alla quale presero parte truppe per 400 unità, ordinate dal Vicerè di Napoli che fece arrestare i rivoltosi e mise a fuoco la città, era il 25 gennaio del 1515. La figlia ed erede di Giovan Andrea De Gennaro e di Cornelia Marullo, va in sposa a Giulio d’Aquino + 1859, Barone di Castiglione e Signore di Crucoli; Ettore d’Aquino tutore dei nipoti ( figli di Giulio, Eleonora e Giovanni) e a nome del nipote Cesare d’Aquino il 10 giugno 1561 compra la contea di Martorano;Il 1582 Cesare d’Aquino chiese a Filippo II di ritornare in possesso anche di altre terre che erano state mal governate da Giovanni Andrea Di Gennaro. Il seicento si conclude la dinastia dei d'Aquino. Il feudo per differenti passaggi e varie successioni terminò con l' ultima feudataria Vincenzina Maria Pico e con le nuove leggi di eversioni del feudalesimo, gran parte delle terre furono divise tra i Comuni e il Demanio Regio.”