Divisione dei terreni in tipologie

da ricerche di Francesco Torchia


Al momento della emanazione delle leggi eversive di abolizione della feudalità i terreni erano così divisi:

DEMANI COMUNALI O UNIVERSALI: beni di proprietà collettiva;

DEMANI FEUDALI APERTI: terreni compresi nella concessione del feudo e quindi in possesso baronale, sui quali però gli abitanti avevano il diritto di esercitare gli usi civici e ad esclusione di quelle parti di terreni già in naturale possesso dei cittadini in virtù di un acquisito diritto reale di godimento (superficie, colonia perpetua ed a lungo termine) che restava fermo e dovevano essere divisi fra l’ex barone o principe e l’università (Comune) con l’assegnazione alla stessa, previo arbitrato, di una quota pari ad ½;1/3;1/4 a seconda del grado di intensità degli usi civici che si esercitavano da parte dei cittadini sui terreni (demani).Le terre così assegnate ai Comuni (università) dovevano essere successivamente divise in parti (quote) di uguale valore e queste assegnate per sorteggio ai comunisti (naturali del comune che già vi esercitavano gli usi civici);

DEMANI FEUDALI CHIUSI O DIFESE: terreni sottratti agli usi civici e quindi di piena disponibilità del barone o principe a termine di antiche leggi del Regno;

TERRE BURGENSATICHE: terreni acquistati dal feudatario e di sua personale disponibilità; Il burgensatico costituisce una proprietà di esclusiva pertinenza del feudatario come privato cittadino; non avendo, pertanto, natura feudale non è soggetta al pagamento del "relevio", ma alla "bonatenenza". La legge eversiva del 2 agosto 1806 escluse i beni burgensatici degli ex feudatari dalla "divisione di massa". Occorre, poi, precisare che il "relevio" era un istituto feudale, in ragione del quale alla morte del feudatario, il feudo rimaneva agli eredi solo attraverso il pagamento di una quota ("relevio") che rinnovava e continuava l’investitura feudale; oggi definiremmo il "relevio" una "tassa di successione". Infine, l’istituto della "bonatenenza" costituiva l’imposta a cui erano obbligati i cittadini forestieri che non abitavano nell’università e sul cui territorio, però, possedevano beni immobiliari.

TERRE PATRIMONIALI: di pertinenza del comune o università e senza la peculiarità della demanialità;

TERRE ALLODIALI: di particolare proprietà di privati cittadini. Non ci si può esimere dall’accenno ai già citati usi civici. Essi consistevano o come antichi diritti di uso che i cittadini avevano e vantavano e che ormai si erano tacitamente consolidati sulle terre, o come riserve apposte dai Sovrani concedenti i feudi e tali da garantire alle popolazioni il diritto naturale ed insopprimibile ai mezzi di sussistenza.

Il decreto del 10/3/1810, con il quale venivano dettate le istruzioni per la divisione dei demani raggruppava tali usi in tre classi:

I cittadini che divenivano possessori di quote di terreni che derivavano dalla ripartizione dei demani, restavano i pieni ed assoluti padroni degli stessi, eccettuato un lieve e simbolico canone annuo che dovevano corrispondere al comune. Identica posizione era quella dei coloni perpetui ed a lungo termine che al concedente dovevano corrispondere solo il canone per la prestazione pattuita.

Nel mese di settembre del 1811 fu emesso un decreto con il quale, rispettate le colonie perpetue, si attribuiscono le gabelle agli antichi coloni.

Nel 1815 vennero emanate disposizioni per la formazione di un nuovo catasto provvisorio che doveva costituire una revisione di quello precedentemente formato e che doveva mettere in luce le occupazioni abusive da parte degli abitanti di un comune sull’altro.

La maggiore agevolazione, per effetto della emanazione delle leggi eversive di abolizione della feudalità, la ebbero sicuramente i cittadini che si trovano, anche senza contratto o altro documento scritto, che certamente mancava in quasi tutti i casi, ad avere occupato e coltivato per 10 anni (in tale periodo va compreso anche il periodo di riposo delle terre) una terra demaniale, venendo essi per tale circostanza riconosciuti come coloni perpetui con tutti vantaggi previsti dalle leggi eversive.

Le leggi eversive della feudalità escludevano da divisione le parti di terreni dove erano in esercizio le colonìe; per colonìa si intendeva quell’accordo tacito stipulato tra il padrone che non potendo personalmente lavorare la terra e fruttificare i terreni per lo più sterili doveva ricorrere all’opera del contadino. Detta forma di coltivazione dei terreni era largamente praticata dai feudatari nell’Italia meridionale ed in particolar modo in Calabria, poiché non comportava ulteriori spese e si aveva il vantaggio di un sicuro provento, il così detto "terraggio" o "terratico", ovverosia la corresponsione di un tomolo di frutto per ogni tomolata di terreno messo a coltura.

Ogni Comune aveva il suo tomolo o moggio particolare.

Il moggio era considerato come uno spazio di 900 passi quadrati;

ogni passo sette palmi e 1/3c -cIl suo quadrato 53 palmi e 1.120 once.

Il tomolo si suddivideva i 2 mezzarole;

ogni mezzarola in 2 quarti;

ogni quarto in due ottavi detti stuppelli;

ogni stuppello in 4/32 detti coppi o piatto, coppoli (cappello).

In un moggio di terra di buona qualità si seminavano tre quarti di un tomolo di grano.

Del granone in terre di discrete qualità si seminava un quarto di tomolo per ogni moggio di terra.

 

© Sanmangomia.it - Webmaster: Pasquale Vaccaro