San Mango d'Aquino

(La storia)

(di Armando Orlando)

 

San Mango d’Aquino sorge sul crinale di una collina a circa 500 metri di altezza sul livello del mare. Il Comune confina con Martirano Lombardo (Piano del Tributo, Vetriolo, Fosso Grasso), Nocera Terinese (Piano del Corvo, Santi Quaranta, Fontana della Quercia, Pietramone, Fabbiano, Valle Dragona) e Cleto (nella bassa valle del fiume Savuto). Le cime più alte comprese nel suo territorio sono il Corvo (m. 1.118), il Servino (m. 959), il Vetriolo (m. 668) ed il Costanzo (m. 621). I corsi d’acqua, oltre il Savuto – che per un tratto segna il confine tra le province di Catanzaro e di Cosenza – sono il Casale (chiamato pure Garice o Gavice) ed il torrente Giurio, a Nord, che delinea parte del confine con Martirano. Il luogo dove sorge oggi San Mango rientra in una vasta area che gravita attorno alla foce del fiume Savuto. All’interno di questa area, di grande importanza dal punto di vista storico e archeologico, sono vissute diverse stirpi di uomini; il territorio è attraversato da un’importante arteria romana, ed il tratto di strada riguardante San Mango è ricordato dagli anziani come la “Via del Carruggiu”. Molte testimonianze di questa antica frequentazione sono state raccolte e catalogate da Adriano Macchione, un ricercatore appassionato di Nocera Terinese che ha di recente pubblicato un voluminoso saggio su Terina, Temesa e Nucria, da noi più volte citato nelle note. Attingiamo direttamente dal suo libro per elencare testualmente i reperti che interessano la nostra storia.

Alla sinistra del fiume Savuto, in località Fabbiano, pendio collinare alla sinistra idrografica del fiume Savuto, a Nord di Nocera, sono stati rilevati un’ampia area di frammenti ceramici che dimostrano una lunga frequentazione del luogo dal IV secolo a.C. all’età imperiale, molti pezzi sparsi di ceramica di età romana, frammenti a vernice nera, frammenti di orli e anse di vasellame, frammenti di anfore puniche e greco-italiche, un frammento d’anfora della seconda metà del I secolo a.C., frammenti d’anfore tunisine e rodie della prima età imperiale…

In località Salice-Spolitretto-Catusi, sul pendio a larghe terrazze, alla sinistra idrografica del fiume Savuto, a sud dell’abitato dell’odierna località Savuto, è stata localizzata un’area di fittili con frammenti di ceramica comune e a vernice nera, un orlo di anfora greco-italica e tumuli in terracotta.

In località Casa Mercuri, ai margini del percorso che da Fabbiano scende verso il fiume Savuto e che collega la strada del Savuto con il paese di S. Mango d’Aquino, sono stati catalogati frammenti di ceramica comune e a vernice nera italiota, un orlo di “pithos” e frammenti di laterizi.

In località Vignale, un’area situata tra i valloni di “Peppe Iera” a sud-ovest e sant?Aloe a nord-est, nei pressi del confine comunale tra Nocera Terinese e S. Mango d’Aquino, è stata delineata un’area di fittili con ceramica comune e a vernice nera, tra cui un “guttus”.

In località Pietramone-Fontana della Quercia, sul pendio a nord di Cozzo Volante, nei pressi del cimitero di S. Mango, ma in territorio oggi del Comune di Nocera, sono affiorati frammenti di ceramica comune e laterizi.

In località Piano della Madonna-Triari, pendio sistemato ad ampie terrazze, alla sinistra idrografica del fiume Savuto, a nord-ovest di S. Mango d’Aquino, sono stati elencati materiali di varie epoche, fra cui un lisciatoio, frammenti di laterizi, di ceramica comune e a vernice nera, un frammento di anfora Dressel e due pesi da telaio.

Fin qui Macchione. Ma c’è di più. Nell’atto di difesa dell’arciprete Ferrari del 1829 – che abbiamo in parte utilizzato per riepilogare le origini del paese – sono citati “in Fabiano i ruderi di un casino antico, e dirupo in parte”, sui quali il De Gattis volle fabbricare una nuova costruzione, ed è espressamente confermata la presenza di una necropoli, laddove troviamo scritto “…Dippiù, l’essersi ritrovano nel così detto Piano di Fabiano un vasto e antichissimo Cimitero, e moltissimi sepolcri particolari, allorché il Sig. Gatti fece quivi la vigna...”. Tutto questo attesta la presenza dell’uomo antico pure sul territorio di San Mango. Ma è dall’anno Mille in poi che troviamo riferimenti storici scritti, quando l’attuale territorio di San Mango risulta aggregato a molte altre terre dell’odierna provincia di Cosenza, unito sotto un’unica dipendenza: una Commenda religiosa. E’ proprio in quel periodo che, “accanto alla grande proprietà regia e feudale, sussiste in Italia una media e piccola proprietà allodiale (non feudale), che va anch’essa – scrive Emilio Sereni – progressivamente riducendosi, specie a favore di quella ecclesiastica, ai cui titolari quei piccoli e medi proprietari tendono sempre più frequentemente a ‘commendarsi’ con le loro terre, sia per sottrarsi alle prepotenze dei feudatari laici, sia per sfuggire ai pesanti oneri fiscali e militari”.

La “commendatio”, spiega Sereni, era un istituto che si era sviluppato sotto il regno dei Franchi allo scopo di regolare il vasto tessuto di rapporti interpersonali che poi si è rivelato alla base della formazione del Feudalesimo. Attraverso la “Commenda” ci si affidava al patronato e all’autorità di un signore, del quale si diveniva, così, “fedeli”, “uomini”, o “vassalli”; mentre il signore, a sua volta, doveva al vassallo protezione, ed eventualmente vitto e alloggio presso di sé. “Suolo di un’antica Commenda” è definito il territorio di Savuto (e quindi anche quello di San Mango) nel documento del 1829. Quando nel 1591 don Carlo d’Aquino decide di acquistare il Feudo di Savuto, la Regia Camera commissiona al tabulario napoletano Francesco Madotti un verbale di apprezzo dei terreni, e l’atto di vendita stipulato fra le parti non fa altro che confermare la natura feudale del territorio di Savuto e di San Mango: sul valore complessivo di 26.000 ducati, solo 600 ducati erano riferibili alle proprietà burgensatiche; il resto era tutto riferito a beni feudali. Ecco dunque delineate le principali tappe della storia di San Mango: “Giacchè suolo di un’antica Commenda, e indi suolo confiscato già per fellonia di Maestà lesa sin dal 1463 al ribelle Sansonetti di Sorrento; fu detta confisca data in donazione dal re Ferdinando d’Aragona a Francesco Siscar; dalla Casa di Siscar fu venduto il feudo di Savuto sotto l’Asta Fiscale, previo apprezzo per la parte feudale, e se ne fece istrumento a D. Carlo d’Aquino nel 1591; l’Aquino ne ottenne il Regio Assenso, ne pagò quindi l’Adua, e relevj reiterati; D. Carlo d’Aquino eresse il novello Casale di Sammango nel territorio feudale di Savuto sin dal 1591; dai principi d’Aquino si son pagati reiterati rilevj per Sammango solo, dopochè vendè Savuto al Barone Lepiane, che fu tal vendita nel 1717”. Nel corso dei secoli, dunque, il Feudo di Savuto con aggregate le terre di San Mango passa dalla famiglia Sersale (Bartholomeus de Surrento tenet castrum Sabuti ex concessione Rogerii Corvi) al Regio Demanio; poi, quando Francesco Siscar, nobile di Valencia, soldato e fedele sostenitore della Casa d’Aragona, partecipa alla conquista del Regno di Napoli ed alla repressione della prima rivolta feudale in Calabria, Savuto viene aggregata ad Aiello (assieme a Petramala, Motta, Casal di Lago, Laghetiello, li Terrati e le Serre), e nel 1463 il re di Napoli Ferrante d’Aragona concede l’intera contea al nobile spagnolo, suo vecchio compagno di giochi, come premio per la sua fedeltà. Da Francesco Siscar la contea passa a Paolo Siscar, anch’egli fedele sostenitore della causa aragonese e strenuo difensore del castello di Cosenza contro l’attacco dei Francesi nel 1495; dopo Paolo, il feudo passa ad Antonio Siscar e poi, via via, altri eredi, fino a don Fabio Siscar, ultimo conte di Aiello. Nella seconda metà del Cinquecento la signoria dei Siscar prima si indebolisce e poi termina, la contea di Aiello si smembra, il Feudo di Savuto viene affidato ad Ascanio Arnone e la moglie Eliadora Sambiase fa incidere in latino su una lastra di pietra – posta sulle mura del castello – la seguente iscrizione: “Eliadora Sambiase, già giovane sposa unita al marito Arnone, offre templi a Dio, limpide acque ed orti verdeggianti alle ninfe e il castello di Savuto come albergo a chiunque ne abbia bisogno”. E’ in questo periodo che le terre a sinistra del fiume Savuto cominciano a destare l’attenzione di alcune famiglie provenienti dai paesi del circondario, grazie anche all’opera di valorizzazione e di sfruttamento agricolo che avevano avviato prima Francesco Siscar e poi il figlio Paolo. Quest’ultimo, oltre a mantenere il privilegio – ottenuto dal padre nel 1463 – di poter estrarre 1.500 cantaia di pece “con la franchigia di ogni diritto e gabella”, viene nominato “arredatore della seta” e dal 1498 può estrarre a Nocera 300 tomoli di grano, mentre altri 100 tomoli di orzo possono essere estratti in agro di Cosenza (4).

Ma a partire dal 1580 la fase di crescita dell’economia agricola calabrese si arresta, nella regione mutano le condizioni dello sviluppo e l’emigrazione diventa intensa, fino a far registrare fenomeni di esodo collettivo della popolazione. Crisi agricola, banditismo, incursioni di guerrieri turchi lungo le coste, terremoti, alluvioni, malaria, epidemie di peste, carestie e siccità tormentano la Calabria e rendono precaria la vita della popolazione residente. L’abbandono delle terre è inarrestabile. Dal 1561 al 1595 Pietramala passa da 1.550 a 1.325 abitanti, Savuto da 950 a 440; nel circondario, Scigliano, Amantea. Aiello, Martirano, Lago, Altilia e Nocera perdono 3.775 abitanti. La disponibilità di uomini torna ad essere un bene prezioso per il Regno, ma pure per i signori feudali, ed un decreto costringe i paesi aperti e privi di controlli a cingersi di mura per frenare il nomadismo degli abitanti ed evitare lo spopolamento. Nelle terre che orbitano attorno alla bassa valle del fiume Savuto alcune persone hanno già attraversato il fiume e si sono stabilite nel territorio di San Mango, cominciando a popolarne le campagne, quando nella storia del paese irrompono i d’Aquino. E quando nel 1591 il Feudo di Savuto entra in possesso di Carlo , altri gruppi provenienti dal disciolto Stato di Aiello e, poi, famiglie provenienti dalla contea di Martirano, devastata dal terremoto del 1638 , cominciano a formare i primi nuclei di abitazioni, che danno vita al villaggio chiamato Muricello. Gli anziani del paese ricordano un antico racconto, che si tramandava da padre in figlio, secondo il quale fra i primi abitanti di San Mango c’erano briganti e fuorilegge venuti a popolare le contrade del nuovo Casale per sfuggire al peso fiscale ed alla giustizia dei baroni dei paesi vicini. Giambattista Vico scrive che “le tradizioni volgari devon avere avuto pubblici motivi di vero, onde nacquero e si conservarono da intieri popoli per lunghi spazi di tempi”. Di certo sappiamo che nel corso del Cinquecento si verificano nella zona fenomeni che assumono ben presto le caratteristiche di veri e propri scontri di classe, con i contadini da una parte ed i nobili dall’altra. Questi scontri non tardano a trasformarsi in rivolta contro i feudatari, e la successiva repressione baronale apre la strada al banditismo. Tra Motta e Conflenti si erano formate bande di fuorilegge che percorrevano la campagna depredando e derubando, ed un ordine vicereale aveva chiesto al governatore della Calabria di “assumere informazioni su un casale del conte di Martirano, i cui uomini avevano fatto resistenza ai commissari del tesoriere provinciale, preferendo scasare ed andare ad abitare nelle selve e sui monti anziché pagare”. Non è escluso che fra i primi abitanti di San Mango ci siano pure dei fuorilegge, o “scorritori di campagna”, come si definivano nel passato quei briganti. Sicuramente, i primi ad arrivare sono famiglie di pastori e di contadini, che cominciano a darsi da fare, costruiscono case, coltivano le terre. Nel frattempo Carlo d’Aquino, nominato principe di Castiglione dal re di Spagna Filippo III d’Asburgo, muore nel 1630 e lascia erede il figlio Cesare, il quale trasferisce il feudo di Turboli ed il feudo di Savuto al suocero Tommaso d’Aquino , principe di Santo Mango del Cilento . Nei “Quinternioni” dell’Archivio della Camera della Sommaria a Napoli è stato annotato: “In anno 1639, se presta il r. assenso alla vendita libera fatta per D. Laura d’Aquino, come madre et tutrice di donna Cornelia d’Aquino moderna principessa di Castiglione, della Terra di Savuto, et altri beni, siti nella Provincia di Calabria Citra al Dr. Mario Baldacchino et per detto Mario all’illustre Tomase d’Aquino, principe di Sancto Mango per prezzo de duc. 23.700”. Tommaso inizia a valorizzare il territorio di San Mango. Nel 1646, alla presenza del notaio Francesco Piccolo di Nicastro, vengono concessi i Capitoli e quando, lo stesso anno, Luigi succede al padre, il nuovo signore feudale rinnova i Capitoli e riconferma gli usi civici sui corpi feudali di Fabiano, Vignali e Montagna del Pruno (chiamata pure Montagna di Savuto). Il 21 novembre 1648 il vescovo di Tropea emette il Decreto di erezione della Chiesa e nel 1653 don Matteo Capilupo è il primo parroco del paese. Sulle terre di San Mango la vita si fa vivace. Dalla vecchia Fontana del Casale, attorno alla quale sono sorte le prime abitazioni, e dalle case sparse del fondo valle, il centro abitato si espande più in alto, nel rione dei Sacchi, mentre nuove famiglie, dopo aver abbandonato i luoghi di origine distrutti dal terremoto, costruiscono i rioni Serra e Carpanzano. Qualche anno dopo sorgono S. Giuseppe e Castagnari, e nel giro di pochi anni il paese assume l’assetto urbanistico che lo caratterizzerà fino alla fine del Novecento. I d’Aquino, sia il ramo di Tommaso principe di Santo Mango che quello dei principi di Castiglione, consolidato il possesso dei feudi, intensificano gli sforzi di ricostruzione e di assestamento, specialmente dopo il terremoto del 1638, che nel loro Stato feudale distrugge centinaia di abitazioni e provoca la morte di 3.500 abitanti. L’obiettivo è di rendere stabile la popolazione e procurarsi maggiore forza lavoro per le attività agricole e artigianali. Nel 1674 don Giuseppe Perri compila il primo Stato delle Anime della Chiesa Parrocchiale del Casale di Santo Mango ed i nuclei familiari presenti nel paese arrivano cento. E’ l’inizio della crescita. Nell’arco dei primi cinquant’anni, a San Mango nascono più di mille bambini e la popolazione supera i 500 abitanti nel 1693 e arriva a 628 nel 1705. Intanto il 16 febbraio 1675, per privilegio del re Carlo II, l’ultimo degli Asburgo di Spagna, il titolo di Principato, concesso in origine a favore di Tommaso d’Aquino sulla terra di San Mango del Cilento, viene trasferito sulle terre di San Mango in Calabria, ed il feudo di Savuto, con il castello e con le terre di San Mango, passano da Luigi d’Aquino (1653) alla sorella Laura. Alla morte di Laura d’Aquino, nel 1679, la figlia Giovanna Battista, già principessa di Castiglione, contessa di Martorano, contessa di Nicastro, Signora di Serrastretta, Motta S. Lucia, Pedivigliano e Rocca di Neto, eredita il principato di Santo Mango ed i feudi di Savuto, Savutello e Turboli. Ma i tempi sono cambiati. Per ubbidire al principio della conservazione dei beni in famiglia, i d’Aquino continuano a sposarsi fra membri della stessa Casa (Giovanna Battista sposerà prima Cesare d’Aquino principe di Pietralcina e poi Luigi d’Aquino fratello del cardinale Carlo), ma Tommaso d’Aquino, figlio di Giovanna, non dedica alcuna cura alle terre in Calabria, occupato com’è a servire gli Spagnoli contro gli Austriaci. Quando gli Spagnoli si ritirano dal regno di Napoli e lasciano il trono agli imperiali di Vienna, Tommaso d’Aquino lascia l’Italia e nel 1716 diventa Capitano Generale della Navarra. La guida dei feudi di famiglia è assunta dal figlio Alessandro, nato nel 1689 a seguito del matrimonio con Fulvia, figlia del principe Alessandro Pico, duca di Mirandola, e di Anna Beatrice d‘Este, principessa di Modena e Reggio. I tempi sono cambiati e le terre versano in uno stato di abbandono. Francesco Augurati, creditore dei d’Aquino per circa 30.000 ducati, ottiene in godimento la Terra di Savuto. Nel 1716 ad Augurati subentra Giovan Battista Le Piane, ed il 1717 è proprio Alessandro d’Aquino Pico a contrarre “speciale ipoteca della terra di Savuto in favore di Giovan Battista Le Piane”. Il 5 ottobre 1718 Alessandro vende per 27.000 ducati la baronia di Savuto a G. B. Le Piane, e alla sua morte, nel 1763, erede dei beni è Vincenza Maria d’Aquino Pico, figlia di un fratello di Alessandro, Rinaldo. Come principessa di Castiglione, Vincenza aveva giurisdizione sulle seconde e terze cause, godeva del privilegio della zecca ed era titolare dei diritti di portulania. Era inoltre principessa di Feroleto, principessa di San Mango, contessa di Martorano, duchessa di Nicastro, Signora di Falerna, Sambiase, Zangarona, Serrastretta, Conflenti, Motta S. Lucia e Turboli. Nel 1749 sposa Landolfo d’Aquino, ma muore senza eredi l’8 ottobre 1799; con lei si estingue la linea dei d’Aquino principi di Castiglione. Con il Regio Assenso dato al contratto di vendita del 1718 ed annotato nel registro 217 dei Quinternioni, le terre sulle quali sorgono Savuto e San Mango vengono divise, e questo accade per la prima volta dopo tanti secoli. Savuto resta un possedimento del barone Le Piane fino all’eversione della feudalità. I d’Aquino mantengono la concessione dei terreni feudali e la proprietà dei beni allodiali che si trovano sul versante sinistro del fiume. Il nuovo casale di San Mango si stacca da Savuto e diventa un centro autonomo, con un proprio Parlamento e con organi amministrativi eletti secondo le leggi del tempo. Continua così il cammino. Anzi, per il nuovo centro abitato inizia un nuovo cammino verso il futuro.

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(1) Emilio Sereni, Agricoltura e mondo rurale, in AA. VV., Storia d’Italia. Il territorio e l’ambiente, Giulio Einaudi Editore - Il Sole 24Ore, Milano 2005.

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(2) Il “relevio” è la tassa dovuta dal feudatario all’atto della prima investitura oppure nella successione feudale che si verificava dopo la morte del primo investito.

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(3)Registri Angioini 1275-1277. Le diverse linee dei Sersale hanno come stipite Sergio, Duca di Sorrento al tempo in cui la città dipendeva formalmente dall’imperatore bizantino ma era retta da un governo oligarchico autonomo. I figli di Saro, Patrizio di Sorrento intorno al 1100 e nipote di Sergio, erano detti “figli di ser Saro”; da qui la trasformazione in Sersale.

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(4) Rocco Liberti, Aiello Calabro, Edizioni MIT, Cosenza1969.

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(5) I d’Aquino, una delle sette grandi Case del Regno, hanno tratto il nome dalla Terra di Aquino (provincia di Frosinone) ed hanno dato origine ad altre famiglie, conosciute con il nome delle signorie a loro infeudate: Alvito, Delle Grotte, Santomango. La successione inizia con Rodoaldo, nobile longobardo, primo Gastaldo della città di Aquino, e prosegue con: Adenolfo II,  Gastaldo e primo Conte di Aquino e Pontecorvo, morto intorno al 982; Adenolfo III, vivente intorno al 1000, considerato il capostipite certo della famiglia.

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(6) Al culmine dell’attenzione presso la Corte di Napoli, Carlo d’Aquino era, all’epoca, feudatario di Crucoli, Pedivigliano, Altilia, Grimaldi, Motta S. Lucia e Conflenti, conte di Martorano e Barone di Castiglione.

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(7) Dopo il terremoto, la popolazione della diocesi di Martirano passa da 12.000 a 6.500 abitanti. Scrive il vescovo nel 1643: “Il popolo, già povero e disperato per i danni del terremoto, continua ad essere oppresso dalle tasse, e non ha la possibilità di costruirsi una casa”.

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(8) Per approfondire le condizioni di vita dell’epoca, vedi: Giuseppe Galasso, Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Feltrinelli, Milano 1975.

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(9) Esponente di un ramo cadetto della famiglia d’Aquino, Tommaso è figlio di Annibale e di Ippolita Sanseverino; nel 1603 sposa Felice d’Aquino, dei baroni di Castiglione, sorella di quel Carlo che nel 1591 aveva acquistato le terre di Savuto, e dal matrimonio nascono sei figli, fra i quali Luigi e Laura, destinati a succedergli nel possesso dei feudi.

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(10) L’antico feudo dei d’Aquino oggi è una frazione del comune di Sessa Cilento, in provincia di Salerno.

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(11) Registri in uso fin dall’epoca normanna, i Quinternioni riportavano in originale o in copia autentica il privilegio di concessione oppure l’assenso sovrano alle investiture feudali, ed annotavano pure gli atti relativi alle variazioni del patrimonio feudale: successioni, cessioni per rinuncia (refuta) o vendita.

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(12) Nascono Falerna, San Mango, Platania e Aquino, a metà strada tra Decollatura e Motta.

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(13) I cognomi dei capifamiglia sono: Baccaro, Baldascino, Berardello, Catroppa, Cicco, Castagnaro, Colosimo, Costanzo, Capilupo, di Adamo, Damiano, Formica, Ferraro, Gigliotta, Greco, Iera, Ieraso, Mastroianne, Mantia, Manfrida, Maruca, Monaco, Moraca, Maletta, Marasco, Mendicino, Montoro, Piccolo, Putero, Perri, Pagliuso, Rende, Rizzo, Riccio, Russo, Savoia, Sisca, Sacco, Sirianne, Scalzo, Squera, Sposata, Troccaso, Trunzo, Volotta, Vonazzo, Vescio, Villella.

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(14) Laura, figlia di Tommaso d’Aquino primo principe di Santo Mango, aveva sposato nel 1628 Cesare d’Aquino, principe di Castiglione, conte di Martorano, conte di Nicastro, Signore di Feroleto, Serrastretta, Motta S. Lucia, Pedivigliano, Crucoli e Rocca di Neto. Cesare morì a Nicastro sotto le rovine del terremoto del 1638, lasciando una figlia, Cornelia, giovinetta, e la moglie Laura incinta di Giovanna Battista. 

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(15) Mario Pellicano Castagna, Storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, Editrice CBC, Catanzaro 1996.

 

 

 

 


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