I MUGNAI (  Vessazioni alla popolazione 1876)

Ricerca testo originale: Francesco Torchia

elaborazione: Pasquale Vaccaro

 

 

 

        Il 1876 i mugnai Antonio Caterina, Antonio Ianni, Gennaro Mendicino e Antonio Maida con lo scopo di ingrandire le loro miserevoli famiglie macchinarono la costituzione di una società denominata “società dei mugnai”.

        I mulini esistenti in San Mango erano 4, uno posto vicino la località frasso, due posti vicino l’incrocio del mulino e l’altro vicino il passo di Angelo Renzo. Due mulini  erano attrezzati per la molitura promiscua anche di cereali.

        I quattro mugnai uniti in società potevano disporre dell’apertura dei mulini a loro piacimento tanto che in breve tempo, con il pretesto che avevano smarrito la licenza in due, venne sospesa la produzione, e nei due attivi si esigeva la molitura a capriccio, e per guadagnare sul dazio governativo trasformavano il frumento in sola crusca.

        Sulle farine che servivano   per gli scopi alimentari  vi era l’esenzione dell’imposta governativa ed i mugnai esigevano il dazio alla ragione del granone nei due molini  a trasformazione promiscua.

        Il periodo fu molto tormentato in quanto la popolazione si rifiutava di effettuare la molitura nei due molini attivi  in quanto se si moliva grano o granone  la trasformazione avveniva nella sola crusca e se si molivano cereali si doveva corrispondere il dazio alla ragione del granone.

        Dalla bocca della popolazione in tutti i luoghi si sentiva profferire “ i mugnai voglio rovinare e ridurre alla miseria la patria”.

        Allo stato di disagio e di insofferenza    si ovviò con l’affitto, da parte di Saverio Arcuri, del Mulino di proprietà di Rosario De Medici.

        Ciò determinò la ritorsione dei mugnai    che con loro operai procedettero alla distruzione dei canali dell’acqua indispensabili per molire che vennero distrutti in più punti e la produzione  venne immediatamente interrotta.

        Gli amministratori comunali si rivolsero alle superiori autorità denunciando le violazioni e le ingiustizie che i quattro mugnai stavano perpetrando a danno della popolazione.

        Il prefetto impose con ordinanza l’immediato ripristino della riapertura di tutti i mulini esistenti sul territorio entro 10 giorni  e per la esecuzione incaricò  i carabinieri reali di Nocera.

        Dagli inizi degli anni 70 alcuni proprietari dei limitrofi fondi siti nel territorio di Martirano deviavano perennemente le acque pubbliche del torrente “casale” per annaffiare i loro prati  facendole scaricare in un altro versante.

        Il  torrente casale durante il periodo estivo era quasi prosciugato e le poche acque che scorrevano  erano appena sufficienti a sostenere la fossa di un solo mulino e tutte le restanti proprietà poste sul versante del torrente che abbisognavano  necessariamente di acqua per la produzione agricola  subivano la siccità.

        Lo stato di cose che annualmente e puntualmente si verificava durante il periodo estivo costringeva la popolazione, per molire,  a recarsi nel territorio di Cleta provincia di Cosenza atrtraversando il Fiume Savuto ove abbondavano le acque .

        L’acqua era di estrema necessità  e la  popolazione ne sentiva estremo bisogno in quanto la sua mancanza oltre a provocare irrimediabilmente danni alla produzione agricola delle zone servite dalle acque  provocava la chiusura di tre mulini.

        Lo stato di sofferenza del popolo ove sin fosse addivenuto ad un bonario accordo con Martirano avrebbe determinato dei disordini e degli abusi difficilmente controllabili.

        Il  Sindaco Tullio Bonacci nel 1876   evidenziava alla Prefettura il particolare stato di disagio della popolazione e le angherie  che la stessa subiva ogni anno  ad opera  degli abitanti della zona di Pietre Bianche e faceva presente che in caso di mancata soddisfazione  i cittadini erano disposti a tutto e non escludeva gravi disordini ed abusi.  

        La prefettura di Catanzaro   incaricò un esperto in agricoltura per  verificare sul luogo ed addivenire se possibile ad un componimento tra le parti. L’appianamento della competizione fra i due comuni avvenne solo grazie  ad un concordato concluso con il lodo del Prefetto.

        Con tale concordato si stabiliva l’utilizzo dell’acqua del “casale” per tre giorni e mezzo e solo di giorno i soprastanti cittadini di Martirano a mezzo di una derivazione che prese il nome di “prisa marasco” e per i restanti 3 giorni e mezzo con più le tre notti  l’acqua lasciata libera a monte sarebbe stata libera di alimentare i mulini di S. Mango.

        L’accordo convenuto ebbe breve durata e dopo breve tempo si verificò lo  sconcio che i martiranesi trattenevano a permanenza l’acqua e non la lasciavano defluire verso valle.

        L’entità delle ammende stabilite dal concordato faceva si che  i cittadini di Martirano pagando la modesta oblazione  fissata utilizzavano l’acqua a piacimento e gli stessi irrigavano a capriccio i terreni in forte pendio tali da determinare frane e scoscendimenti del terreno durante i periodi invernali in modo da arrecare danno alle proprietà site nel territorio di S.Mango.

        Tale siffatta situazione durò  per molti decenni e nel mese di maggio del 1910 la Società Operaia organizzò una agitazione con la raccolta di firme per inoltrare due petizioni una al Ministro dell’Agricoltura e l’altra al Prefetto e tendenti ad ottenere la libertà delle acque durante il periodo estivo.

        Le firme vennero raccolte  per la durata di giorni 8 presso la Sede della società ed alla fine più di 500 cittadini aderirono all’iniziativa.

        Gli amministratori del Comune con a capo il Sindaco Ernesto Puteri  considerata la pubblica esasperazione della popolazione che sarebbe potuta degenerare  da un momento all’altro, in atti di violenza generale con la distruzione in loco dei canali che servivano a trattenere abusivamente le acque,  chiese un immediato intervento del Prefetto oltre che la presenza dei militi in S.Mango.

        La Prefettura diede ordine ai militi di Martirano di presenziare quotidianamente ed almeno per  20 giorni ed  anche di notte la zona ove si verificava la derivazione e di  segnalare all’autorità giudiziaria i cittadini che impedivano  il deflusso naturale delle acque nei giorni  previsti verso la vallata di San Mango.