INIZIO DI SANMANGO

Da ricerche di Francesco Torchia su scritti dell’Arciprete Giuseppe Antonio Ferrari

(atto di difesa giovambattista Gatti di Martorano per la causa comunale di Sammango, riguardante specialmente l’annullata ordinanza del 1821 presso la gran corte dei conti in Napoli.)

 

 

“Carlo d’Aquino nell’anno 1591 acquisto’ il feudo di Savuto, e sue rustiche pertinenze sotto l’asta fiscale dell’allora Reggia Camera, e dietro fatta la compera, ebbe ogni sollecitudine a rendere nobile quella rustica e feudale parte del territorio di detto feudo e propriamente quella parte, dove  vi eresse la novella patria, che nomo’ Sammango, e vi comincio’ a chiamare all’uopo dei novelli abitanti, e le riusci’ il disegno merce’ il colmo di tanti privilegi loro offerti, e concessi circa i bisogni di prima necessita’ della vita, per cui sin da allora si generarono e si cominciarono ad esercitare i concessi usi civici su quel territorio rustico e di natura  feudale, e non pote’ essere altrimenti, e d’altra parte essi nuovi abitatori adescati e attirati di tanti privilegi, si sottoposero ad un padrone, e ne abbracciarono il servile nome di vassallo, e cosi’ continuarono di  età in età gli indigeni posteri.

Accresciutosi il numero dei novelli abitanti non sotto tende, o sotto boscarecci tuguri abitarono  ma in caserme, ed in camere fabbricate dall’arte di essi abitatori.

Il principe suddetto vi eresse la chiesa parrocchiale sotto il titolo di  S. Tommaso d’Aquino ed il diritto jus patronato (il diritto cioè di scegliere il curato, ossia il beneficiario ecclesiastico); la doto’ di un beneficio di ducati 15 l’anno da celebrarsi   da quel curato una messa la settimana, e la doto’ pure  delle decime sopra le famiglie.

Dopo poco tempo la doto’ di un altro pingue beneficio di ducati 12 l’anno da celebrarsi ogni giorno delle messe dai sacerdoti di detta chiesa, e la ipoteco’ sopra la Montagna del Pruno, dove ipoteco’ anche l’altro beneficio del Parroco.

Si e’ cosi’ dunque goduta una pace, tra la casa baronale d’Aquino ed i novelli vassalli, e sono stati tanto in pace, che quei Principi vi si edificarono anche un palazzo in cui varie volte, per pochi mesi vi  abitarono, palazzo che conteneva anche le carceri baronali, e serviva da diporto nei mesi estivi ai detti Principi.

Essi novelli abitatori ebbero bisogno per necessità di mezzo di abitazioni, e di un giardinetto per comodo di foglie, e difatti il principe concesse loro l’aia di casa e giardinetto accanto franco di peso, e veramente l’ingenere esiste oggi giorno.

Ma siccome la fabbrica richiede della calce, così quei primi abitatori ebbero concesso il diritto di far calce e per comodo proprio, ed a mercimonio, e si è così sempre a due secoli e mezzo esercitato.

Si sa che senza l’industria degli animali non può quasi sussistere in nessuna società o patria, e specialmente quella di S.Mango, della quale non solo i primi abitanti, ma i successori furono nella maggior parte pastori di animali cornuti e di più ogni bassa famiglia nella maggior parte tiene ed ha tenuta una porca c.v., ed una pecora appresso l’asina per industria annuale, e per loro sostentamento, siccome gli animali debbono pascolare, e bere necessariamente così nacque, e fu concesso il diritto di pascolare, e di abbeverare; e per non danneggiarsi tutto il territorio, e come pure perché le famiglie prive di territorio proprio non avevano dove pascolare gli animali domestici, così per consenso del Principe, si eresse per uso comune di pascolo la Montagna del Pruno, Fabiano ed i Vignali.

Ed ecco nato, e concesso l’uso civico di pascolare, ed abbeverare, e si è a due secoli e mezzo circa, esercitato. Quei abitanti ebbero bisogno, come quegli del mondo intero, già dell’elemento del fuoco, altrimenti non potevano sussistere in un luogo di montagna, ed esposto all’Aquilone specialmente, com’è sito S.Mango.

Ed ecco dalla necessità di mezzo nato e concesso il diritto di allegnare dal Barone sul territorio che nei primi anni era tutto quasi boscoso, ma in seguito per comune consenso restò sopra i tre suddetti vasti corpi, essendo stato il resto del territorio, sotto altre varie denominazioni, dato a censo ai medesimi accresciuti vassalli, per farne particolare uso in piantagioni.

Essi abitatori dovevano necessariamente governare e vivere la vita col pane, onde bisognò loro seminare dei cereali per poterlo procacciare, e mangiarlo nel sudore della loro fronte, giusta il divin comando. In sudore vultus tui vescaris pane tuo.

Ed ecco generato, nato e concesso il diritto di seminare, che sempre si è esercitato, e sin d’allora sotto tassa annuale corrisposta, e perché il territorio si era in parte concesso agli abitanti per proprietà particolare, come si è detto; così per terreno comune e di pascolo, e di seminare restò quel di Fabiano, Vignali, e Montagna del Pruno, ed in questo modo cominciossi a sboscare, ed a seminare; e si diede in tal maniera principio, ed aumento al nuovo Casale di S. Mango, mentre le famiglie povere, ed indigene di quei convicini paesi quivi a flotta si portavano a stabilire la loro abitazione, ed il loro vantaggioso tenore di vita, e così fra pochi anni la Casa di Aquino ebbe il bel piacere di vedersi un recente rustico Feudo reso nobile, e si vide ossequiato di un gran numero di nuovi vassalli, su dei quali dominò sempre.

Di più, sopra le difese de Vignali concesso vi fu dal Barone ai vassalli altro significante, e privilegiato diritto, cioè negli anni carichi di ghiande si serrava detta difesa nel mese di settembre, e si svadava nel 24 novembre del medesimo anno, tempo in cui le villanelle coperte di logoro sacco quivi si portavano a pascolare la porca c.v., e la domestica pecora, nonché tutti i pastori rurali di pecore e vaccine, tutti allegri, e suonando i boscarecci strumenti, e le dolci zampogne, calavano la notte di  S. Caterina a ripigliare il pascolo, e col diritto ancora di battervi le ghiande che ancora immature, esistevano sopra i piedi delle ramose querce; e così si continuava per tutto il resto dell’anno; ma negli anni di scarica, la foresta restava libera e senza guardiani, e non mai si serrava: e perciò vi si pascolava da chi voleva, per tutto l’intero anno.

I massari vi avevano il diritto ancora di tagliare le frasche dal fusto delle querce per sino all’impalcatura, per comodo, e pascolo delle vaccine, ed in tale occasione le donne di campagna quasi unite in massa si portavano quivi a caricarvi dette sfrondate frasche per uso di arderne il forno e cuocere il pane. E questo diritto recava un comodo grandissimo all’intera cittadinanza, nonché un utile.

Ed ecco l’altro diritto di guadare la difesa Vignali negli anni di carica e tagliare le frasche dai fusti in ogni anno, e nel tempo che richiede la stagione, per non offendersi l’albero.

La difesa Fabiano, solamente negli anni di carica stava serrata da settembre a tutta la durata delle ghiande, ed in tutt’altro era affetta da usi civici.

E finalmente la difesa Vignali fu concessa con istrumento ai massari di S.Mango ad estaglio annuale sotto corrisposta di tumola 50 grano bianco alla camera Baronale, e si è tanto eseguito da quei bracciali, e massari per più e più anni, e sino all’anno 1822

Ed ecco nato e concesso il diritto di colonia perpetua sopra il vasto terreno, che fu, per altro disboscato dai S. Manghesi medesimi, che da terreno inutile, quale era, il resero fruttuoso alla Baronale camera.

Tali concessi diritti nacquero dai patti, e contratti fatti tra il principe, ed i vassalli, e si sono sempre avuti per sacri, tanto vero, che se qualche conduttore di detto ex feudo voleva contrastare lo svadare le ghiande, allora i Sammanghesi si mantenevano nel possesso, e si ricorrevano al Principe, e questi gli difendeva, ed ordinava al conduttore di non molestare i Cittadini di S. mango dei loro antichi usi civici, tanto ci hanno lasciato detto per tradizione i vecchi  della patria,

Il novello Casal di S. mango, siccome da principio si disse, ebbe la sua origine sin dall’anno 1591 sotto la casa d’Aquino, e dovette avere il suo cominciamento dal consentimento di un certo numero di famiglie indigene di altri convicini paesi, quali, perché povere, furono allettate e tirate da vantaggiose promesse. Dalle quali nacque il dovere di ubidirla, e così contrassero colla stessa Camera delle nuove obbligazioni, onde volontariamente ne abbracciarono il servile nome di Vassallo, nel medesimo tempo, che restavano legati alle generali obbligazioni dello Stato. In secondo, non potevano usare una forza siffatta, ed inveire dispotismo avverso il loro Barone, e rendere colla forza affetti di usi civici i suoi terreni, perché non può dirsi di non essere a scienza del principe, giacchè in più mesi degli anni vi abitò, e trattò coi nuovi vassalli, perché sin dall’origine della novella patria vi si fabbricò un bravo palazzo accanto quella chiesa, ed oggi vi esistono i ruderi, che ne dimostrano la verità.

Dunque i Principi d’Aquino per necessità di mezzo, volendo avere dei nuovi Vassalli dovettero lor concedere per un patto sociale i su riferiti usi civici, che sempre tra i contemporanei Principi, e tra i successivi vassalli si sono avuti per sacri, e non mai sono stati contraddetti, ma goduti sino al 1822 e tali ragioni nascono dal fatto.

 

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Don carlo d’Aquino seppe cogliere l’opportunità di trovare un utile  costante e sicuro da quelle terre, fino a quel momento per lo più incolte ed improduttive, e non mancò di incoraggiare i nuovi venuti, promettendo loro diverse agevolazioni.

E taluni massari forse desiderosi di acquistare maggiore libertà, preferirono allontanarsi dalle loro terre, cercando un lavoro più redditizio.

Si trasferirono con le loro famiglie in queste terre ed iniziarono a coltivarle, vi costruirono anche delle modestissime case.

Ben presto i coloni si accorsero che in quei luoghi era possibile vivere agevolmente e dignitosamente, con maggiori garanzie per l’avvenire di quanta ne potesse offrire la loro patria d’origine per ciò decisero di rimanervi per sempre

La relativa fertilità dei terreni assecondò la tenacia di quei coloni; tanto che ben presto eressero nella zona piantaggioni e colture: negli orti prossimi alle abitazioni furono piantati i gelsi, con le cui foglie fu possibile impiantare l’allevamento del baco da seta.

Scorrendo gli atti parrocchiali, si ha l’opportunità di ricostruire le linee genealogiche delle famiglie che diedero origine alla piccola nobiltà locale, la quale sorta sul finire del seicento, si affermò in tutto il settecento e l’ottocento.

Con molta probabilità tra i primi abitanti venuti a pascolare la terra di Santo Mango sin dal 1591, non esistevano particolari differenze sociali; col passare degli anni, invece, alcune famigile riuscirono a conseguire una certa agiatezza acquistando in seguito il titolo di Magnifico, Signore, Don ecc.ecc.

D. Carlo aveva sposato il il 12 ottobre 1592 Eleonora o Dianora Pignatelli, figlia di Giacomo ed Ippolita Caracciolo e fu padre di Tommaso nato nel 1601 e morto nel 1606, di una bambina di cui non si conosce il nome e morta in tenera età, di Cesare III, futuro principe di Castiglione, di Giacomo Battista, principe di crucoli, di Giovanni. Alla morte della prima moglie, D. Carlo sposa in seconde nozze, il 24.5.1609 Maria De Capua, dei duchi di Termoli, figlia di Pietro Antonio e di Bernardina del tolfa; da questo matrimonio nacque un solo figlio: Francesco.

Nel 1609 con atto per Notaio Simone della Monaca da Napoli acquista dalla moglie di Mariano Caracciolo la Terra di Feroleto ed il Casale di Serrastretta per D. 35.500.

Il Tribunale della Regia Camera in data 10.12.1611 concesse il proprio assenso. La famiglia era molto devota a S. Tommaso, infatti sostenevano di essere diretti discendenti dell’Aquinate, ed a riprova di ciò il motto del casato recava la scritta: Bene Scripsisti De Me Thoma.

Don Carlo morì nel 1629, ed il suo corpo fu sepolto nella cappella di famiglia posta dentro la chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli, lasciando quale erede il figlio  primogenito Cesare divenuto principe di Castiglione ed Utile Signore di Nicastro, che sposò D. Laura d’Aquino, figlia dello zio D. Tommaso 1° principe di Santo Mango dal 4.9.1623 (* 5-7-1587 + 20-6-1646),  Signore di Cutri,  compra il feudo di Baranello il 20-1-1606, Signore di Turboli, sposa 15-3-1603 Felice d’Aquino dei Baroni di Castiglione. Questi nel 1623 acquista il feudo di S.Mango del Cilento da Giovanni Caputo e ne ottiene anche il titolo di principe.

Nel 1637 D. Cesare, mediante lo zio dr. Tommaso d’Aquino, vende al fratello Francesco la terra di Feroleto con il Casale di Serrastretta per la somma di ducati 8.000 da pagare in 9 anni.

 

“Il 27 marzo dell’anno 1638 il sabato delle Palme per lo spazio di centocinquanta miglia fu un ferissimo tremuoto, che scuotendo l’una e l’altra Calabria ruinò 183 tra terre e città, con la morte di circa 2000 persone, che lasciarono miseramente la vita sotto le ruine degli edifici. Tra i luoghi più danneggiati si numera Nicastro, in cui oltre una buona parte del popolo rimase estinto il Principe di Castiglione, Util signore d’esso.”

In quelle rovine rimase seppelltita la Principessa D. Laura gravida di molti mesi, ma dissotterrata fu ritrovata viva insieme con una sua figliuola, il che fu attribuito a miracolo. Il 24 giugno D. Laura partorisce una figlia di nome Giovanna Maria Battista. Il 16 settembre 1638 furono dichiarate eredi universali, in parti uguali, d. Cornelia e D. Giovanna Maria Battista e la madre Laura-3° Principessa di Santo Mango,dal 1658- titolo ereditato dal padre Tommaso- fu istituita tutrice e balia delle stesse.

Nel 1639 D. Laura vende la terra di Savuto per D. 23.700  al Dr. Baldacchino e questi a Tommaso d’Aquino principe di Santo Mango, suo padre.

La primogenita ( Cornelia) sposò il 17.4. 1642 il principe di Caserta Filippo Gaetani dei duchi di Sermoneta; in seguito cedette la Terra di Feroleto e Serrastretta allo zio Giacomo principe di Crucoli. Mori il 14 gennaio 1644. A  D. Cornelia d’Aquino, primogenita di D. Cesare principe di Castiglione, la quale essendo morta giovinetta senza aver fatto figliuoli, successe a tutti gli Stati della casa d’Aquino D. Giovanna Battista Maria sua sorella allora contessa di Martirano.

La conduzione dei Feudi viene assunta in questo periodo da D. Laura d’Aquino, la quale non avendo eredi maschi e non riuscendo da sola a governarli, chiede l’aiuto del Padre Tommaso il quale muore il 20 giugno 1646. E’ di questo periodo che ………….. d’Aquino  erige la Chiesa Parrocchiale sotto il titolo di S. Tommaso d’Aquino e di jus Patronato; “la dotò di un beneficio di Ducati 15 l’anno da celebrarsi da quel Curato una messa la settimana, e la dotò pure delle decime sopra le famiglie, giusta l’Istrumento di dotazione presso il Notaio Piccolo di Nicastro nell’anno (agosto 1646 o 47)”. Da questo momento si ha l’inizio della Terra di S.Mango.

 

Il 20 novembre del 1648 il Vescovo di Troppa Lorano ? in visita pastorale a S. Mango istituisce la nuova parrocchia dedicata al divino Tommaso d’Aquino; nello stesso anno ha inizio la costruzione della chiesa sotto il patronato dei d’Aquino con in dote una rendita di 60 ducati annui.

Nel 1646 Don Luigi d’Aquino (*1608 ca. + 11-1-1658), figlio di Don. Tommaso ha il titolo di 2° Principe di Santo Mango. Cavaliere dell’Ordine di  San Jago, combatte alla battaglia di Nordlingen. Sposa 10-8-1641 Donna Anna Stramboni, figlia di Don Giovan Vincenzo Duca di Salsa e Patrizio Napoletano  e di Bernardina Minutolo (+ 20-3-1674).

D. Giovanna Battista 4° e 5° Principessa di Santo Mango, sposò il 20 aprile 1650 il principe di Pietrapulcina Cesare d’Aquino, rimasta vedova sposò in seconde nozze il 17 giugno 1668 Luigi d’Aquino, figlio di Landolfo e Violante Viligiani. Ebbe due figli Carlo che fu vescovo, e (Don Tommaso (* Reggio Calabria 9-7-1669 + Napoli 20-10-1721), 5° Principe di Castiglione, 6° Principe di Santo Mango,(dal 1675 1° principe di S. Mango d’Aquino) Principe di Feroleto, 6° Conte di Martorano, Conte di Nicastro, Signore di  Falerna, Sanbiase, Zagarise, Serrastretta, Confluenti, Motta Santa Lucia e Turboli (feudi confiscati nel  1707 dal governo austriaco); Gentiluomo di Camera e Capitano Generale della cavalleria del Regno di   Napoli dal 1702, Cameriere d’Onore, Capitano Generale della cavalleria del Regno e Cavaliere della Chiave d’Oro dal 5-1702, Capitano Generale della Navarra dal 1716; Grande di Spagna di prima classe dal 1702 e Patrizio Napoletano.). Ques’ultimo nacque il 1669 ed ebbe sin da bambino il titolo di Principe di Feroleto, il 27 febbraio 1687, essendo morto il Padre Don Luigi, ottenne per refuta della Madre, che ne aveva fatto cessione al marito, la terra di Castiglione. Il 29.11.1687 sposa Fulvia Pico della Mirandola, figlia di Alessandro II e di Beatrice d’Este; morì solo dopo tre anni di matrimonio il 29.12.1691, fu sepolto nella cappella della famiglia d’Aquino in S. Domenico Maggiore a Napoli. Dal matrimonio nacquero tre figli: Alessandro, luigi, morto dopo pochi mesi dal parto e Rinaldo. Alessandro (Don Alessandro (* 17-6-1689 + 3-6-1753), 6° Principe di Castiglione, 7° Principe di Santo  Mango,(2° Principe di San Mango d’Aquino), Principe di Feroleto, 1° Duca di Nicastro, 7° Conte di Martorano, Signore di Sanbiase, Falerna, Zagarise, Serrastretta, Confluenti, Motta Santa Lucia e Turboli, Patrizio Napoletano e  Grande di Spagna di prima classe dal 1721, pare fosse debole di mente, viveva sotto tutela. Nel 1707 contrasse fidanzamento con Cosima Antonia Caracciolo  7° Duchessa di Celenza, figlia del 6°  Duca Don Giovanni Principe di Torrebruna (* 5-3-1695 + 20-6-1769,  e Porzia Anna Caracciolo, ed assunse questo titolo, ma poiché la sposa aveva meno di 12 anni non potè adempiere agli obblighi coniugali. Sopragiunse l’invasione del regno da parte degli austriaci; in questo tempo Cosma fu rinchiusa nel Convento di S. Chiara, ma con il passare del tempo quando fu in età da marito che il matrimonio, nato e non consumato, era nullo e ne ottenne lo scioglimento nel 1718, con breve apostolico. Alessandro morì il 3 giugno 1753 lasciando erede universale la nipote Vincenza Maria, figlia del fratello Rinaldo.  Donna Vincenza Maria (* Napoli 15-12-1734 + 8-10-1799), Principessa di Feroleto dal 1737, 8° Contessa di Martorano 1734/1737, 7° Principessa di Castiglione, 8° Principessa di  Santo Mango,( 3° principessa di S.Mango d’Aquino), 2° Duchessa di Nicastro, Signora di Falerna, Sanbiase, Zagarise, Serrastretta,  Confluenti, Motta Santa Lucia, Turboli e Grande di Spagna di prima classe dal 1753. Alla  sua morte i feudi e i titoli passano alla famiglia Monteforte. =sposa il 13-6-1749 Landolfo d’Aquino.