Eversione della feudalita'

Inizio 800

Da ricerche di Francesco Torchia
 

 

Giuseppe Buonaparte, animato da spirito innovatore, fece approvare il 2 agosto 1806 un progetto di Legge che contemplava l'abolizione della feudalità; nella Relazione, in cui si esponevano i motivi giustificativi del provvedimento, si evidenziava che il sistema feudale, in passato forza dei governi monarchici, era divenuto solo un impedimento al rinnovamento dello Stato. Per stabilire un sistema giusto e ben regolato per la riscossione dei tributi era necessario eliminare la differenza dei beni di diversa natura e i molteplici rapporti vincolanti per lo Stato. Con l'approvazione delle Leggi Eversive venne meno il vincolo che univa il Feudatario al Sovrano con la reintegrazione nella persona del Re di ogni diritto e potere riportando i feudatari alla condizione di comuni cittadini. Si riconobbero ai Baroni i titoli nobiliari, la proprietà dei territori che erano già di loro pieno possesso, nel contempo essi vennero sottoposti a tutti gli oneri e tributi già gravanti sugli altri cittadini, con l'abolizione di tutti i diritti proibitivi e delle prestazioni personali di cui in passato avevano usufruito. Alle popolazioni furono concessi gli usi civici e tutti i diritti in godimento sui demani in attesa di regolare la divisione proporzionata dei domini e stabilire i rispettivi diritti. La legge aveva la lodevole finalità di dividere tra i molti nullatenenti la ricchezza terriera e formare un ceto di piccoli proprietari; nella realtà questo non si verificò in quanto furono avvantaggiati solo coloro che avevano i mezzi economici per mettere a coltura le terre. Il nuovo assetto terriero del Regno provocò in molti centri della Calabria disordini antifrancesi. A San Mango coloro che avevano in fitto le terre feudali, per salvaguardare i propri interessi, fecero intravedere ai bracciali quale grave danno avrebbe loro arrecato l'abolizione degli usi civici sulle terre.

La situazione politica del Regno, nonostante l’energica figura del Re Gioacchino Murat, rimaneva però del tutto precaria e si temevano per il futuro sconvolgimenti militari.

Per questo i comuni dovevano occuparsi anche di un eventuale stato di emergenza  a cui avrebbe potuto essere interessata l’intera popolazione. Così a cura dei deputati dell’annona, scelti in numero di due fra i decurioni, doveva essere predisposto annualmente una scorta di circa 160  tomoli di grano, necessari per fornire il pane a tutta la comunità per almeno 30 giorni. Tale grano doveva essere offerto da alcuni tra i maggiori produttori, secondo un ratizzo (elenco) approvato dal decurionato: ogni proprietario fornitore era obbligato a custodire nei locali propri la quantità di grano prestabilita ed a versarlo all’occorrenza.

Su tutti i generi di largo e generale consumo si doveva pagare il dazio secondo un puntuale sistema di riscossione diretto.

Così i molinari non potevano procedere a macinare i cereali se colui che portava la derrata era sprovvisto dell’apposito biglietto liberatorio.

Oltre che sul pane e sulla carne il dazio gravava anche sugli altri pochi generi in particolare sul vino si pagavano 4 grani al barile, sul forno e sull’olio il dazio era di 1 grano a rotolo; sulle patate che venivano largamente commercializzate per lo più secondo la forma del baratto si doveva corrispondere 1 grano a tomolo. Sul grano bianco si dovevano corrispondere 4 grani a tomolo, sul germano e granone 2 grani a tomolo, sull’orzo 1 grani a tomolo, sulla carne di animali minuti 1 tornese a rotolo.

La famiglia Ferrari, del ramo del Sig. Maurizio, dalla fine del secolo e fino agli anni 50 del 1800 svolgeva la funzione di esattori, con scrupolo, zelo, capillarità e circospezione assurgendo a figura preminente per influenza e prestigio sulla massa del popolo ed avulsa dalle consorterie criminali dell’epoca.

 

 

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