Condizioni della popolazione

Da ricerche di Francesco Torchia
 

 

Le condizioni di vita erano molto misere, i contadini mangiavano tre volte al giorno, nei giorni lunghi (tarda primavera ed estate) quattro, al mattino, a mezzogiorno, all'imbrunire e alla sera. Il cibo quotidiano della classe più misera era costituito da minestra di verdure campestri e di pane di grano, lupini, castagne; ben fermentato e cotto. Spesso alla farina di grano si aggiungeva quella di legumi e orzo; questo pane misto costava 22 centesimi al rotolo, al suo posto talvolta si mangiava polenta di granturco, condita con sale e strutto, poche volte con olio; una famiglia con tre figli giornalmente consumava 5 rotoli di pane e 5 caraffe di vino per un importo complessivo di 2 lire e 20 centesimi, annualmente pro capite si consumavano dai 5 agli 8 tomoli di grano. Raramente si mangiava la carne (maiale, pecora, castrato e agnello) anche quella degli animali infermi e morti; la parte non consumata veniva conservata sotto sale, in vasi di creta o di legno. Il pesce lo si pescava nel fiume Savuto. Le anquille e capitoni li si pescavano nel Savuto e nel Casale. Il vino era forte, gradevole al palato, i contadini ne abusavano quando andavano a lavorare a giornata. Notevole era la produzione olivicola. I latticini erano di buona qualità, ma la produzione era scarsa sopratutto d'inverno, il formaggio costava 1 lira e 53 centesimi al rotolo. La produzione di ortaggi e frutta era molto modesta, abbondante invece quella dei legumi, che costavano 9 lire e 56 centesimi al tomolo. I più bisognosi avevano pochi indumenti per ripararsi dal freddo, gli uomini indossavano giacca, camicia e pantaloni a mezza gamba, senza scarpe e cappello, le donne per lo più la sola gonna e camicia; la biancheria e gli abiti erano poco puliti. L'insufficiente nutrizione, l'insalubrità dell'aria, la mancanza d'igiene determinavano costanti epidemie. L'alimentazione infantile era inadatta, si passava molto presto dal latte ai cibi solidi e ciò provocava malattie dell'apparato digerente. La mortalità infantile era molto alta, i bambini che riuscivano a superare i primi anni di vita crescevano stentatamente e presentavano ventre gonfio e colorito pallido. A tutto ciò si sarebbe potuto porre rimedio se si fossero regolati gli scoli delle acque, e se i contadini non si fossero esposti agli eccessivi calori diurni e non avessero dormito di notte all'aperto. In paese c'erano due medici, le mammane (levatrici) esercitavano il loro mestiere, basandosi sull'esperienza. I ceti più poveri non avevano alcuna assistenza e si curavano solo con vino somministrato regolarmente, tutto ciò portava all'aumento delle malattie e alla mancanza di guarigione. I benestanti si curavano con eccitanti, come china e musco (borracina, licheni, felci, capelvenere). La vaccinazione antivaiolosa, per antichi pregiudizi era rifiutata dal popolo, mentre aveva avuto benefici effetti nelle famiglie abbienti. Gli illegittimi, i trovatelli, gli esposti erano tenuti con poca affezione dalle nutrici, perché la povertà le spingeva a provvedere prima al sostentamento dei propri figli, e anche perché il Comune non corrispondeva loro la retribuzione mensile con regolarità e quando il ricorso al medico era inefficace erano pronti a prestare la propria maestria i Salassatori. Virgilio Torchia, Fedele Torchia, Ferdinando Adamo, Luigi Adamo e Aurelio Sacco oltre alla professione di barbiere esercitavano liberamente la professione di salassatori.

 

 

 

© Sanmangomia.it - Webmaster: Pasquale Vaccaro